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Tutto è suono

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La nostra voce, il suono di uno strumento, il rombo di una moto… sono aspetti diversi di uno stesso fenomeno: il suono. Il suono, come studiò lo scienziato Robert Boyle, nasce dalle vibrazioni di un corpo elastico e per propagarsi e diffondersi ha bisogno di un mezzo: aria o qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa, e per provarlo Boyle fece un esperimento: sospese una campana in un contenitore chiuso in cui era stato praticato il vuoto, e mostrò che, nonostante la campana venisse sollecitata, non si avvertiva alcun suono. Inoltre, in base alla sostanza in cui il suono si propaga acquisisce una diversa velocità di diffusione, dunque la velocità è maggiore nei corpi solidi, minore nei liquidi e ancora più bassa nei gas. Questo accade perché nei corpi solidi le molecole sono più strettamente legate tra loro, condizione che consente di trasmettere meglio le onde sonore al contrario di quanto avviene nei liquidi e nei gas, dove le molecole sono sempre più lontane tra loro (ad esempio, con dei calcoli complessi eseguiti per la prima volta in Francia nel 1882 si è stabilito che la velocità del suono nell’aria è di 340m al secondo). Il suono, quindi, si propaga tramite vibrazioni che producono una successione di compressioni ed espansioni delle molecole dell’aria. Nel loro movimento oscillatorio, queste molecole formano onde sonore sferiche concentriche dette
onde sonore che vengono percepite dal nostro timpano, quindi il suono è prodotto dalle vibrazioni di un corpo e si propaga attraverso altre sostanze sotto forma di onde sonore. Come abbiamo precedentemente detto, anche la nostra voce è il prodotto di una vibrazione, infatti le vibrazioni così prodotte e trasmesse sotto forma di onde sonore diventano suono quando raggiungono il nostro orecchio, e, trasformate in impulsi nervosi, vengono recepite dal cervello come sensazione uditiva. E questa funzione è molto importante per l’essere umano per l’apprendimento del linguaggio, difatti, la capacità verbale viene molto dopo: prima nasce il senso del ritmo e la sensibilità al suono e poi, più avanti, arriva il linguaggio. Un neonato è in grado di cogliere lo stato d’animo della madre senza capire una sola parola: soltanto ascoltando il ritmo, le sfumature e la cadenza delle sue parole e della sua voce. Emozioni, stati d’animo: tutto passa dal suono per un bimbo. Molto prima che il neonato sia in grado di comprendere la lingua, capisce la musicalità che è al suo interno, capisce anche le più piccole inflessioni della voce della mamma e di chi lo circonda. Sa se la mamma è arrabbiata, nervosa, oppure tranquilla e felice attraverso la sua voce, suono nel quale è immerso fin dal concepimento. Attraverso il suono il bambino non solo capisce il significato delle parole, ma soprattutto riesce a decodificare l’emozione che sta dietro. Anche Giacomo Leopardi, elaborò la teoria del suono, dove i suoni, per lui, assumono un grande valore, soprattutto quelli la cui origine non è ben comprensibile, perché nella loro vaghezza sono molto suggestivi e indefiniti, ed evocano immagini “poeticissime”. Proprio come fa il bambino associando un suono a un azione/oggetto. Per l’appunto, secondo lo psicologo Burrhus Skinner, una persona apprende a parlare in modo molto simile a quello con cui apprende ogni altro comportamento: attraverso le sue interazioni con l’ambiente, cioè attraverso rinforzi e punizioni.
Quando i bambini emettono i primi suoni simili a quelli del linguaggio adulto, oppure le prime parole, essi ottengono una grande quantità di rinforzi da parte dei genitori e smettono man mano di utilizzare le espressioni che gli adulti non accettano.
Inoltre il riuscire ad esprimere i propri desideri e bisogni è, di per sé, un forte rinforzo per il bambino. L’esperienza e l’apprendimento hanno un ruolo determinante nell’acquisizione del linguaggio.
L’atto di parlare, la fonazione, è un fenomeno estremamente complesso. Sia dal punto di vista fisiologico, poiché richiede la stretta collaborazione degli organi fonatori: l’apparato respiratorio, l’apparato laringeo e il tubo di risonanza. Questi tre apparati concorrono alla formazione del suono secondo un preciso iter di formazione:

1. il mantice polmonare che si occupa della produzione del fiato necessario per l’emissione sonora;
2. l’effettore laringeo che genera il suono;
3. l’apparato di risonanza che modula il suono prodotto dal precedente apparato. Sia dal punto di vista comunicativo essendo che non solo le parole contribuiscono a trasmettere correttamente il nostro messaggio e quindi possiamo accompagnare le stesse parole con diverso ritmo, tono, volume, ma anche gesti ed espressioni del volto. Ecco perché esistono tre livelli di comunicazione: verbale, paraverbale e non verbale.

Con la comunicazione verbale, intendiamo l’aspetto più superficiale della comunicazione, ovvero quello di cui siamo più coscienti, di cui curiamo con più attenzione i dettagli perché costituito dalle parole che diciamo o scriviamo.
Solitamente cerchiamo di scegliere con attenzione le espressioni che usiamo, variando registro in accordo con il nostro interlocutore. Se in un contesto formale useremo un linguaggio più ricercato, in un contesto informale useremo invece un gergo più colloquiale. Lo scopo è costruire il discorso in modo che sia interessante e persuasivo, oltre che comprensibile, per la persone che avremo di fronte. Tramite la
comunicazione paraverbale, invece, componiamo il discorso con un certo tono, velocità o volume. Anche nella comunicazione scritta possiamo utilizzare la punteggiatura in modo da conferire un certo ritmo al testo. La comunicazione paraverbale permette di dare emozione e profondità al proprio discorso, enfatizzando concetti chiave o relegando parti della frase a semplici postille. Infine, nel terzo livello della comunicazione, nonché l’ultimo per quanto riguarda la consapevolezza con cui viene usato, troviamo la comunicazione non verbale, in cui rientra in questa categoria il linguaggio del corpo e la posizione nello spazio rispetto all’interlocutore. In un testo scritto a mano possiamo considerare la calligrafia o il colore dell’inchiostro. Dall’interazione con gli altri ricaviamo molte più informazioni rispetto a quelle che ci vengono dette; purtroppo pochi riescono a interpretare consapevolmente questo livello di comunicazione nonostante sia automatico usarlo. In sostanza, per comunicare in modo proficuo è essenziale utilizzare tutti e tre gli aspetti della comunicazione in modo armonico. Sia il livello paraverbale che non verbale possono rafforzare oppure contraddire il messaggio verbale e, quando questi livelli non sono allineati, diamo l’impressione di essere poco chiari o poco coerenti. Quindi, essere consapevoli di tutti i livelli della comunicazione ci predispone a una maggiore sensibilità espressiva.


Autore: Marta Mascitelli 3’A Scienze Umane Liceo Marconi Pescara

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