Home Ambasciatori della Festa di Scienza e Filosofia Il passato che si fa presente

Il passato che si fa presente

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Di strada la scienza nel tempo ne ha fatta e nel XXI° secolo ha ormai oltrepassato innumerevoli limiti ritenuti irraggiungibili, specializzandosi in vari settori e affinando le proprie tecniche. Ad oggi non è più frutto di fantascienza la possibilità di creare organismi viventi che abbiano lo stesso patrimonio genetico di un altro anteriore a loro.
Il primo tentativo di trasferimento nucleare fu pensato dallo scienziato tedesco Hans Spemann nel 1938, ma per mancanza di attrezzature adatte egli non poté trasferire il nucleo di una cellula embrionale ad una cellula uovo enucleata ed osservare se il nucleo di una cellula differenziata fosse in grado di riprogrammare l’informazione espressa e di controllare lo sviluppo embrionale. 14 anni più tardi l’esperimento venne messo in pratica, ma ottenne scarsi risultati. Solo nel 1997 si riuscì a portare a termine con successo la clonazione a partite da cellule differenziate di mammiferi animali con la nascita della pecora Dolly. Fu il traguardo di partenza che diede il via incoraggiante per altre clonazioni animali, alcune delle quali, ad esempio, atte a recuperare il patrimonio genetico di campioni equini sterilizzati.
La biologia molecolare fa passi da giganti; ecco allora che si propone di clonare specie estinte. Notizia di notevole fama è l’esperimento che ha il fine di clonare mammut recuperando il DNA da resti ritrovati nel permafrost siberiano e trasferirlo nell’ovulo di un’elefantessa indiana.
Nel frattempo alcuni scienziati stanno lavorando al recupero di due specie di rane dalla gestazione gastrica, scoperte intorno agli anni 70-80 dello scorso secolo, ma di lì a poco scomparse. Alcune cellule uovo con il  nucleo della rana estinta hanno reagito positivamente al trattamento, tanto da iniziare spontaneamente il processo di divisione cellulare sino a dare origine a girini che sono sopravvissuti per pochi giorni, ma che erano in possesso di materiale genetico della rana scomparsa nel loro DNA come hanno confermato le analisi effettuate.
La strada è dunque aperta al recupero di altre specie animali quali lo stambecco dei Pirenei (il cui primo clone sopravvisse per alcuni minuti), la colomba migratrice, la tigre della Tasmania, il dodo, la foca monaca dei Caraibi, il moho ed altri ancora.
Perché non pensare ad un processo di de-estinzione vero e proprio? Perché non permettere all’uomo, a maggior ragione ove sia stato la causa della scomparsa, di rimediare?  Questioni pratiche ed etiche si frappongono a questo barlume di speranza. Un primo problema, qualora il progetto di reintegro della specie sia approvato, si riscontra con l’habitat in cui inserire l’animale, in quanto molto probabilmente  è a causa della distruzione dello stesso che l’animale è scomparso. Quali garanzie ci sono che non si incappi di nuovo nello stesso errore? Perché pensare ad una concreta ripopolazione di queste specie, se in primis non riusciamo a salvaguardare quelle che ora sono a rischio estinzione dichiarato e risaputo, ma a quanto pare inevitabile? Che non si rischi di ritrovarsi in un vero e proprio Jurassic Park di Spielberg visto che non sappiamo prevedere che conseguenze ci potrebbero essere con certezza? E quali sono i limiti della scienza che di limiti sembra non averne? Basta il giudizio etico del rispetto dell’individualità e dell’unicità del singolo uomo a frenare la scienza anche nei confronti degli animali?

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