Per iniziare leggiamo questa frase:
« Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l’addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui. » (Aristotele, Protreptico o Esortazione alla filosofia)
Per secondo analizziamo queste tre parole (scelte non a caso certo!) e proviamo ad analizzarle: filosofi (nel senso più letterale della parola, quindi amanti del sapere in ogni ambito) creatività, scienza.
1) Filosofi: sono coloro che amano il sapere. Anche il modo estremamente forte, quasi passionale e ne abbiamo esempio con l’eros platonico che non è altro che la metafora della filosofia.
2) Creatività: dall’etimologia in italiano “creare”, al quale il sostantivo “creatività” rimanda, deriva dal “creare” latino, che condivide con “crescere” la radice KAR. In sanscrito, “KAR-TR” è “colui che fa” (dal niente), il creatore. “Che cos’è e come si manifesta la creatività? Si tratta di un fenomeno apparentemente misterioso di cui però è possibile descrivere alcune caratteristiche che sembrano comuni ad attività culturali diverse. In molti casi, le situazioni che chiamiamo creative sembrano connesse con particolari capacità di “vedere” forme o strutture, combinando in modo nuovo elementi diversi che prima erano stati pensati come separati. Come ha chiarito nella sua conferenza Giorgio Parisi, lo stesso pensiero scientifico è fondato su intuizioni di questo tipo, che non sono legate necessariamente a una formulazione linguistica. E, diversamente da quello che succede nel contesto dell’ intelligenza artificiale, il pensiero razionale non si lascia descrivere come una semplice manipolazione di simboli. In questa prospettiva, i teoremi della matematica o della fisica possono avere un significato che prescinde completamente dalla loro dimostrazione.” (1)
3) Scienza: deriva dal latino scientia, che significa conoscenza.
È forte il legame che si instaura tra la creatività e la scienza. Mi sono più volte chiesta come i grandi geni della fisica, ma anche della filosofia, arrivino a proporre tesi così improbabili e inimmaginabili: solo partendo da qualche spunto, qualche indizio della realtà? Oltre che qualche sicura variazione nel codice genetico c’è qualcosa di unico in loro e una grande capacità che spesso noi preferiamo ingabbiare o che semplicemente non riusciamo a far sfociare nel modo corretto: la creatività. Qualche riga più in alto veniva definita come “capacità di “vedere” forme o strutture, combinando in modo nuovo elementi diversi che prima erano stati pensati come separati”. E’ questo quello che dovremmo fare guardandoci intorno: raccogliere prove dal nostro mondo, prenderle e giocarci, disporle in anche maniera bizzarra seppur logica in molti casi, affinché da quei preconcetti separati si crei sempre qualcosa di nuovo e si abbia la fondamentale possibilità rinnovarsi, di essere in continuo mutamento, prima, come sempre, partendo da noi stessi e poi volgendo lo sguardo verso l’esterno. Essere creativi è infatti una delle poche cose che io riesco a vedere in modo nitido in ogni filosofo, artista, scienziato de passato fino ad arrivare quelli più recenti. Tanto nella divina commedia di Dante tanto nella “vita è bella” di Benigni è sempre solo l’arte di creare, il filo che unisce questa lunga catena di uomini che hanno deciso di servirsi di questo strumento per creare bellezza. Che bellezza non è un quadro esteticamente piacevole, ma anche l’algoritmo che sta dietro ai frattali e li rende così estremamente complessi e intriganti. E’ importantissimo quindi partendo da questo amore disinteressato per il sapere, spinti da un eros profondo ma sano, indagare e ricercare e utilizzare questo grande strumento che ci è stato offerto. Riconosco quindi in ogni persona che definisco genio impropriamente uno stesso cammino: tutti partono dalla filosofia nel senso come già sottolineato, letterale, quindi da questo amore per il sapere; il secondo passo è poi prendere in mano il potentissimo strumento della creatività e svilupparlo fino alla fine del traguardo (che come sempre segna anche un nuovo inizio)che a seconda poi delle capacità, degli interessi e passioni lo dell’individuo si trasforma in qualcosa di diverso a seconda dei casi ma che è anch’esso riconducibile ad un termine unico che è la scienza, intesa anch’essa in senso letterale e quindi “conoscenza”, perché ognuno di queste persone attraverso il proprio percorso arriva a svelare un certo tipo di concetto, informazione, o anche solo a creare qualcosa i straordinario. Partendo da questo percorso comune ho anche capito che non basta solo la creatività per fare grandi scoperte ed è anche importante capire perché ciò che studiavano i primi filosofi, quelle scienze\conoscenze che erano un tutt’uno e indispensabili ognuna all’altra per interpretare la realtà, oggi sono nettamente distaccate. Per cominciare in un testo di Odifreddi ho trovato una riflessione importante che condivido:
“Col crescere tumultuoso della produzione intellettuale, una conoscenza integrata umanistico- scientifica ha finito invece col divenire patrimonio esclusivo di personalità eccezionali, da Leibniz a Russell. La tragedia dello scollamento culturale è provocata non tanto dalla crescita in profondità delle singole scienze, perchè i dettagli dell’equazione d’onda o della doppia elica sono tutto sommato superflui per avere un’idea delle problematiche sollevate dai quanti o dal dna, quanto piuttosto dall’allargamento orizzontale delle discipline: una visione anche sommaria di ciò che si sa della natura e dell’uomo richiede infatti ormai un’infarinatura di fisica atomica, relatività, cosmologia, chimica, etologia, antropologia, genetica, biologia, neuroscienze, scienze cognitive, complessità, caos, calcolatori, intelligenza e vita artificiali, reti, realtà virtuale, per non parlare degli strumenti matematici necessari per orizzontarsi nel labirinto.
Di fronte ad una tale vastità le reazioni più naturali, anche per gli scienziati, sono l’estraniamento e la chiusura in difesa, e la conseguenza più immediata che ne deriva è l’isolamento delle discipline scientifiche tra di loro, e di una scienza ormai frammentata dal resto della cultura. La letteratura e la filosofia corrono così l’enorme rischio di scollarsi dalla storia, di continuare accademicamente a descrivere ed analizzare un mondo ormai scomparso, e di cessare di poter assolvere alla propria funzione sociale di critica antisociale: il tutto nel momento stesso in cui gli sviluppi tecnologici, dall’energia atomica all’ingegneria genetica, pongono l’uomo di fronte a pericoli che, essendo di una gravità mai sperimentata, richiederebbero invece una chiarezza di analisi mai raggiunta. Se la formazione umanistica diventa inadeguata per l’appropriazione degli strumenti necessari all’analisi del mondo moderno, e gli umanisti non possono più seguire il passo della scienza, non per questo diminuisce dunque il bisogno di letteratura e filosofia: l’unica soluzione sembra allora che siano gli uomini di formazione scientifica ad appropriarsene. E infatti la letteratura contemporanea si è ormai arricchita delle opere dell’ingegner Carlo Emilio Gadda, del chimico Primo Levi, del logico Bertrand Russell, del geometra Salvatore Quasimodo, del matematico Alexander Solzhenitzin (questi ultimi premi Nobel per la letteratura, rispettivamente nel 1950, 1959 e 1970), oltre che di autori che hanno fatto studi scientifici, quali Robert Musil, Hermann Broch, Friedrich Dürrenmatt, Thomas Pynchon…”
E’ anche vero che da un certo punto di vista non è necessario avere basi solide in campi che non interessino il tuo perché oggi le scienze stanno così incanalando e delimitando un certo tipo di sapere che risulta spesso superfluo ricorrere a strumenti appartenenti a “culture diverse” dalla propria(o quella umanistica o quella scientifica). Ad esempio , dalla mia esperienza scolastica, trovo ben pochi collegamenti tra la storia e la fisica classica. Con ciò non sto dicendo che è possibile eliminarne del tutto una senza che l’altra non subisca danni, ma sono dell’opinione che in un mondo così ampio e vasto ad ognuno è concessa la libertà di occuparsi di ciò che vuole. Questo stesso mondo però non è altro, molto spesso, che un integrarsi di queste scienze e in alcuni casi uscire dalla complessità in cui siamo immersi è possibile solo avendo in mano entrambe le armi: sia quella scientifica, sia quella umanistica anche perché stanno nascendo sempre più scienze per le quali è necessaria la conoscenza di entrambe le “culture”.
A mio avviso è comunque fondamentale non essere ignoranti, nel senso proprio di ignorare, in nessun campo ma riprendendo la frase iniziale “si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l’addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui. » vorrei anche dire che ognuno può “filosofare” come più crede sia giusto per lui, tenendo conto degli svantaggi che potrebbero esserci allontanando estremamente l’alleanza tra materie scientifiche e umanistiche.
(1) http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/La-creativita-scientifica