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Think Green

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Noi uomini siamo dei grandi inventori, siamo intuitivi, costruiamo tecnologie all’avanguardia, ma sembra che non ci interessiamo per niente della grande macchina che ci ospita e ci dà vita: la Terra!!!

Al centro della scena globale troviamo sempre di più la questione energetica, complici diversi fattori come: cambiamento climatico e esaurimento delle fonti fossili (ancora oggi le più sfruttate).

Sul piatto della bilancia, per contrastare l’eccessivo consumo di queste fonti, si iniziano a porre le energie rinnovabili.

Esse sono tutte quelle forme di energia prodotte da fonti derivanti da particolari risorse naturali che per la loro caratteristica intrinseca si rigenerano almeno alla stessa velocità con cui vengono consumate o non sono esauribili nella scala dei tempi di ere geologiche.

Le più note sono per esempio: l’energia solare, l’energia eolica, l’energia da biomasse, l’energia idroelettrica, l’energia delle correnti marine, ecc.

Come ci spiega Vaclav Smil, uno dei massimi esperti mondiali del settore, queste fonti rinnovabili non ci garantiscono ancora la continuità di erogazione, problema che deve essere risolto per poter garantire la transizione, dalle fonti fossili a quelle rinnovabili, attesa da tutti.

La soluzione principale per accelerare la graduale transizione alle energie rinnovabili è ridurre il consumo energetico globale migliorando l’efficienza energetica, perché riuscire a coprire un’ampia frazione della domanda mondiale di energia è tanto più complicato quanto più è rapida la sua crescita.

Ed allora ecco che bisogna sviluppare una vera e propria coscienza ecologica che è una conquista culturale e di costume; ma come arrivarci?

Questo sviluppo fondamentale può arrivare solo tramite la scuola che forma il cittadino, il quale deve possedere le conoscenze essenziali sulla realtà che lo circonda e si renda conto delle problematiche ambientali e del contributo positivo che ogni persona può fornire col suo comportamento responsabile.

Da una classifica stilata dall’Università di Adelaide (Australia) in collaborazione con le Università di Princeton e Singapore, i 10 paesi più inquinanti al mondo sono: al primo posto il Brasile, seguito da USA, Cina, Indonesia,  Giappone,  Messico, India,  Russia, Australia e  Perù.

Questa classifica ha tenuto conto di sette parametri: tasso di deforestazione, tasso di conversione degli habitat, volumi di pesca, emissioni di CO2, livello di utilizzo di fertilizzanti chimici, livello di inquinamento delle acque e il  numero di specie di animali a rischio.

Questi dati sono poi stati messi in correlazione con tre variabili socioeconomiche: la numerosità di popolazione, il prodotto interno lordo e la qualità di governo.

Quello che sta avvenendo in questi paesi, come in altri, è una vera e propria manipolazione degli ecosistemi che, come dice Charles Darwin ne “L’Origine delle specie”: “E’ interessante contemplare una riva intricata ricoperta da tante piante di molteplici tipi, con uccelli che cantano tra cespugli, diversi insetti che svolazzano e vermi che strisciano nella terra, e riflettere che queste forme costruite in modo elaborato, così diverse l’una dall’altra in maniera così complessa, sono state prodotte da leggi che agiscono tuttora intorno a noi”.

La confusa complessità di un ecosistema opera secondo poche ed eleganti regole della natura, e non ha bisogno di una capillare gestione divina.

La definizione di ecologia dei libri di testo è chiara: lo studio delle interazioni fra gli organismi e il loro ambiente. Tuttavia questa semplice definizione è pericolosamente aperta. L’ambiente in cui un organismo vive significa tante cose: individui della stessa specie, individui di altre specie, la loro organizzazione spaziale e i loro movimenti, la temperatura, la quantità di luce e acqua, la concentrazione di differenti elementi chimici…  ogni organismo, poi, interagisce con l’ambiente in  tanti altri modi.

L’ecologia di qualunque sistema, dunque, comprende molti organismi di molti tipi che si incontrano gli uni con gli altri e reagiscono a questi incontri. Il lavoro dell’ecologo consiste nello spiegare perché vi siano questi modelli, e non altri.

In ecologia, i processi che gli ecologi vogliono comprendere non entrano in una provetta e nemmeno in un laboratorio; allora per dare risposte certe alle domande su come il cambiamento climatico, la deforestazione, l’estinzione e le specie invasive influenzino fattori come la qualità dell’aria, la scorta d’acqua, le dinamiche delle malattie e le rese della pesca, devono capire in che modo i pezzi si incastrano insieme.

Quindi possiamo capire che la complessità ecologica è un’arma a doppio taglio.

Venendo al nocciolo della questione, in ambienti in cui il livello di perdita di specie e degrado dell’habitat è alto, in che modo può intervenire l’ecologia?

Può intervenire attuando un’ ecologia del ripristino, disciplina connessa alla biologia della conservazione; ma che cosa significa “ripristinare” uno spazio naturale?

Quando parliamo di ripristinare un ecosistema si pongono questioni che sono profondamente intrecciate con valori e con l’estetica. Il movimento della conservazione si è sviluppato fin dall’inizio intorno ad una finzione che oggi è tanto difficile abbandonare: che esistesse una cosa detta “stato selvatico originario”; ma quello che si deve capire è che indietro non si torna!

Bisogna allora lavorare per migliorare la situazione attuale creando uno sviluppo sostenibile.

Lo sviluppo sostenibile è una forma di sviluppo economico che sia compatibile con la salvaguardia dell’ambiente e dei beni liberi per le generazioni future.

Solo riabilitando i cittadini, ed educando quelli nuovi, ad un “Think Green” potremmo aiutare il nostro pianeta!

E come?

Riciclando, non disperdendo nell’ambiente rifiuti, diminuendo le emissioni di CO2 …

Non a caso lo slogan dell’EXPO 2015 è  “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, che avrà come protagonista il cibo: sostenibile, sicuro, sano e sufficiente per tutti.

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