Queste sottili increspature dello spaziotempo, meglio note come onde gravitazionali, furono previste per la prima volta da Albert Einstein nel 1916. La loro esistenza fu dimostrata dal fisico come conseguenza della teoria della relatività, secondo la quale la curvatura e la distorsione nello spaziotempo sono legate alla distribuzione delle masse e dell’energia. La grande scoperta di Einstein rischiava di rimanere inascoltata e di non pervenire più ad una dimostrazione fino a quando, per la prima volta, è stato rilevato dagli scienziati di LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) quel fatidico suono del cosmo emesso dalle onde gravitazionali, che da tanto era stato ricercato, prova quindi della loro esistenza.
Questa rilevazione è stata provocata dalla fusione di due buchi neri, i quali prima di fondersi hanno percorso una traiettoria a spirale, scontrandosi ad una velocità di 150000 km/s, la metà della velocità della luce; si tratta peraltro di un processo avvenuto circa un miliardo e mezzo di anni fa, responsabile dell’emanazione di onde che hanno impiegato pochi millesimi di secondo a percorrere la distanza che separa le due stazioni gemelle di LIGO (collocate rispettivamente in Louisiana e nello Stato di Washington). Facendo dunque patrimonio della previsione di Einstein e della recente scoperta ora spetta ai moderni ricercatori il compito di approfondire le attuali conoscenze delle onde gravitazionali. Molti parlano di una vera e propria pietra miliare, una scoperta di una tanto ingente importanza da poter condurre all’inizio di una nuova, fin’ora in parte inesplorata, era della fisica, o meglio dell’astrofisica.
Certo è che la possibilità di studiare il cosmo attraverso le onde gravitazionali amplia molto le nostre attuali competenze, come ha affermato Fulvio Ricci, coordinatore della collaborazione VIRGO (rilevatore interferometrico di onde gravitazionali situato nel comune di Cascina [PI]), secondo il quale ora addirittura “Siamo in grado di fare l’ecografia dell’universo”, paragonando i mezzi, attraverso i quali fino a prima della rilevazione ci è stato possibile sperimentare l’universo, a delle radiografie. La notizia ha inoltre anche modificato l’atteggiamento di numerosi ricercatori nei confronti del proprio lavoro, giunto finalmente ad un coronamento, e verso il quale ora essi, come c’informa Pia Astone, ricercatrice INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), si rivolgeranno d’ora in poi, interrogandosi non più sulla possibilità di riuscire a dimostrare l’ipotesi di Einstein, ma su quale sarà la prossima fonte che trasmetterà un segnale ai nostri rilevatori.
A 100 anni dunque dalla teoria della relatività, enunciata nel 1915 da Albert Einstein, già allora causa di scalpore e promotore di ricerche giunte sino ai nostri giorni, e che presenta lo spaziotempo come un tessuto a quattro dimensioni (le tre dello spazio e quella del tempo), permeante il cosmo e continuamente perturbato da corpi in movimento, è stato finalmente possibile captare quello che Giovanni Andrea Prodi, (fisico sperimentale coordinatore di VIRGO) ha definito un “bisbiglio in un mare di rumore di fondo”, dimostrando tuttavia definitivamente la stessa esistenza dei buchi neri e la possibilità che essi si fondano.