Ben 2500 anni fa, nel sud dell’Italia, in quella che oggi è la Calabria, nella città di Crotone, un personaggio forse mitologico o forse realmente esistito, che aveva nome Pitagora, si trovò a fare una scoperta che è costitutiva di ciò che oggi noi chiamiamo scienza, segnando il momento di passaggio dalla matematica applicata alla matematica astratta, con l’introduzione di dimostrazioni fondate sul metodo deduttivo a partire da assiomi esplicitamente formulati.
Si racconta, ma è leggenda, che Pitagora abbia scoperto il suo teorema mentre stava aspettando di essere ricevuto da Policrate.
Seduto in un grande salone del palazzo del tiranno di Samo, Pitagora si mise ad osservare le piastrelle quadrate del pavimento e notò che se avesse tagliato in due una piastrella lungo una diagonale, avrebbe ottenuto due triangoli rettangoli uguali e che l’area del quadrato costruito sulla diagonale di uno dei due triangoli rettangoli risultava il doppio dell’area di una piastrella.
In altre parole il quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui due cateti. Questo risultava evidente nel caso della piastrella quadrata, cioè di un triangolo rettangolo isoscele: ma poteva essere vero, si chiese Pitagora, anche nel caso generale, con cateti di lunghezza diversa? Studiando meglio la figura ottenuta dall’osservazione delle piastrelle, Pitagora si accorse che il quadrato formato da quattro piastrelle si poteva scomporre in quattro triangoli rettangoli equivalenti e in un quadrato il cui lato era uguale alla lunghezza dell’ipotenusa di uno dei triangoli. Non fu quindi difficile passare al caso generale di quattro triangoli rettangoli qualsiasi, non più isosceli per i quali vale allo stesso modo il teorema.
Tuttavia la storia del teorema sembrerebbe molto più complessa e le sue origini risalire almeno a un migliaio di anni prima che Pitagora si dedicasse allo studio dei triangoli rettangoli.
Tracce di forme primordiali del teorema di Pitagora ci giungono già dalla dinastia Hammurabi in Babilonia: su una tavoletta d’argilla, ritrovata tra le rovine di una città della Mesopotamia e risalente al periodo paleo-babilonese della dinastia Hammurabi (1900 – 1600 a. C.), è disegnato un quadrato e le sue diagonali.
Su un lato è riportato il numero 30 e su una diagonale i numeri 1,414213… e 42,42639…, tutti numeri espressi nel sistema sessagesimale, quello usato dai Babilonesi.
Il primo dei due numeri, sulla diagonale, è un valore approssimato della radice di 2, l’altro è la diagonale del quadrato, cioè il prodotto di 30 per questo numero; un calcolo che prevede la conoscenza del teorema di Pitagora
Anche dall’India arriva un enunciato del teorema di Pitagora che ci autorizza a pensare come il teorema fosse già noto agli indiani in epoche precedenti alla nascita di Pitagora. Si legge, infatti, nei Sulbasutra, i testi che contenevano le istruzioni per la costruzione degli altari, riportati in forma scritta fra l’800 e il 600 a. C.: “La fune tesa per la lunghezza della diagonale di un rettangolo forma un’area pari alla somma di quella formata dal lato verticale e da quello orizzontale”.Appare così ovvio che pur se si parla ancora di funi e di problemi pratici, la strada verso la matematica astratta è aperta.
Si potrebbe continuare ad indagare sulle origini di tale teorema all’infinito, tuttavia quello che appare certo e indiscutibile è come il teorema di Pitagora continui ancora oggi a stuzzicare le menti dei più curiosi.
Può esso essere valido anche se si sostituiscono i triangoli rettangoli con altre figure, ad esempio, triangoli scaleni, pentagoni, esagoni o poligoni irregolari?
Ad esempio, per i pentagoni costruiti sui lati di un triangolo rettangolo, l’area del pentagono sull’ipotenusa è equivalente alla somma delle aree dei pentagoni sui cateti; allo stesso modo l’area del semicerchio costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei semicerchi costruiti sui cateti.