Il 31 ottobre del 2017 sarà passato esattamente mezzo millennio da un evento che ha avuto esiti innovativi, non soltanto sul piano teologico, passando anche attraverso la riscoperta dell’importanza della parola biblica e del rapporto diretto tra Dio e l’uomo, come affermato nella tesi 62 di Martin Lutero: “Vero tesoro della Chiesa di Cristo è il sacrosanto Vangelo, gloria e grazia di Dio”.
La Riforma Protestante nacque in seguito all’ affissione sul portone della Cattedrale di Wittenberg delle 95 tesi di Lutero nel 1517, in segno di protesta contro la corruzione e la lontananza dal messaggio evangelico della Chiesa (manifestata attraverso la liturgia celebrata in latino, poco accessibile ai più, la vendita delle indulgenze, il perseguimento di obiettivi economici e di potere temporale piuttosto che spirituale, la riscossione della decima, il nepotismo e la simonia).
Come sottolineato dal professore Boris Ulianich, Lutero fu percepito come un “demonio incarnato”, poiché proponeva innovazioni di grande portata che avrebbero sconvolto il cristianesimo, andando al di là delle intenzioni teologiche che muovevano le analisi del monaco agostiniano, arrivando a provocare la frattura della Chiesa in minoranze religiose.
Alla base del pensiero di Lutero c’era la nuova visione del rapporto con Dio: personale, libero, intimo, diretto, che non aveva più bisogno della mediazione delle gerarchie ecclesiastiche, perché ogni credente era considerato sacerdote per se stesso (principio del sacerdozio universale dei credenti) e poteva accedere direttamente alle Sacre Scritture. Per permettere il libero esame della Parola di Dio raccolta nella Bibbia, fondamento della fede, egli ne promosse la diffusione traducendola fedelmente in tedesco e facendone stampare diverse copie che si diffusero rapidamente tra il popolo, oppresso dalla Chiesa, che aveva secondi fini e non aveva cura della vera relazione che intercorre tra creatore e credente.
Egli abbandona la Scolastica, che si affidava al dogmatismo, per ricercare un cristianesimo puro e limpido che potesse portare alla vera salvezza, soggetta unicamente all’arbitrio di Dio. Viene riscoperto il Vangelo come annuncio della libera grazia di Dio, donata al peccatore indipendentemente dai suoi meriti e dalle “opere”, ma concessa attraverso la fede. La cristianità trova la sua unità in Cristo nella diversità delle molteplici esperienze religiose dei credenti: nasce il concetto di tolleranza e di convivenza fra modi diversi di vivere la propria fede. Lo spostamento dell’attenzione, dalla dimensione comunitaria, spesso tradotta in semplici ritualità celebrate, formalismo senza sostanza, a quella individuale, porta alla valorizzazione della soggettività, all’assunzione di fede come atto di totale fiducia in Dio.
Da un lato la figura di Dio è più vicina all’uomo, alla vita terrena ma, dall’altro lato, Dio rimane un’entità trascendente, lontana dall’uomo, la cui volontà è imperscrutabile. L’accento viene così spostato definitivamente dall’obbedienza all’autorità papale, in quanto vicario di Cristo, alla solitudine della propria coscienza: la vita interiore del singolo individuo in contrapposizione agli “orpelli” che ne allontanerebbero il dialogo diretto con Dio.
Il protestantesimo ha accentuato l’idea di individuo, in quanto basato, come detto prima, sul rapporto del singolo con Dio che, per certi versi, anticipa l’idea che oggi abbiamo del concetto di “sacro”, ovvero (come cerca di dimostrare la ricerca fenomenologica di Rudolph Otto in un saggio del 1917, intitolato Il sacro) la percezione da parte di ognuno di una realtà straordinaria, tremenda e affascinante insieme, separata e profondamente diversa da quella profana, percezione che, quindi, varia da soggetto a soggetto. Tant’è che Mircea Eliade, in Storia delle credenze e delle idee, dichiara che il sacro appartiene alla coscienza individuale dell’uomo, poiché il “sacro è un elemento della struttura della coscienza e non un momento della storia della coscienza. L’esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall’uomo per costruire un mondo che abbia un significato”.
L’avere un rapporto esclusivo e profondamente personale con Dio è un tema, oggi come allora, condiviso e discusso, che conferma la modernità del messaggio del monaco tedesco.
Quanti di noi affermano, infatti, di avere fede e di viverla nella loro dimensione più intima? Quanti pensano che sia questa l’autenticità del rapporto con Dio? Permette veramente un avvicinamento? Quanti, invece, accettano che nel cammino verso la conoscenza esistenziale di Dio vengano posti degli intermediari?