Home Ambasciatori della Festa di Scienza e Filosofia Per un giovane disoccupato sarebbe meglio lavorare gratis o non lavorare affatto?

Per un giovane disoccupato sarebbe meglio lavorare gratis o non lavorare affatto?

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Il lavoro è definito come lo sforzo che l’individuo compie per poter soddisfare i propri bisogni mediante la produzione di beni economici. Pertanto, nell’attività lavorativa, si ritrovano due componenti: una materiale, rappresentata dall’energia umana, sia fisica sia intellettuale; una psicologica, rappresentata dalla sensazione di fatica e pena, ma anche dalle sensazioni di soddisfazione che il lavoro comporta. Inoltre, a quest’ultimo, essendo un fattore della produzione, spetta un compenso denominato salario o stipendio.
Purtroppo, in Italia ci sono oltre 3 milioni di disoccupati e tra questi moltissimi sono giovani, infatti, circa 600000 i ragazzi, compresi tra 19 e 25 anni, hanno terminato gli studi e non lavorano.
Però, il fatto più preoccupante è rappresentato dalla bassa percentuale di laureati, che corrisponde al 21% rispetto al 52% della California, e di studenti universitari, infatti, su un campione di 100 ragazzi solo 36 sono iscritti all’università, in netta contrapposizione con la Francia e la Germania dove sono più del doppio rispetto all’Italia.
A mio avviso, far lavorare un giovane senza retribuzione significherebbe introdurlo nel mondo del lavoro e offrire lui un modo per acquisire esperienza pratica e professionale.
Questa soluzione, inoltre, si accorderebbe con la bassa percentuale di laureati: chi non sceglie la carriera scolastica, avendo modo di fare esperienza lavorativa, magari diventa un ottimo professionista.
Una misura del genere può essere ricondotta all’introduzione del contratto di apprendistato, che in Italia ha raggiunto il maggior numero di adozioni nei primi anni del 2000. Questo contratto permette ad un ragazzo di lavorare, ricevere una retribuzione temporaneamente ridotta e accedere al mondo del lavoro per poter imparare e in seguito diventare un impiegato definitivo. Questa è una grande opportunità anche per il datore di lavoro, in quanto può investire in maniera ridotta su manodopera qualificata.
Purtroppo però, in Italia questo metodo si è usato in maniera non idonea, vedendolo come un’opportunità con la quale il datore di lavoro sfruttava oltremodo i tempi di apprendistato, continuando a far lavorare in modo precario un lavoratore qualificato.

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