Per disuguaglianza economica si intende il divario nella distribuzione del patrimonio economico e del reddito tra gli individui di una popolazione. Negli ultimi anni, questa disuguaglianza è aumentata globalmente, portando sempre più profitto ai “ricchi” e lasciando in condizioni ancora peggiori chi faticava già in precedenza. I 3 più grandi multimiliardari del mondo (in dollari) possiedono patrimoni superiori della somma del PNL (Prodotto Nazionale Lordo) di tutti i paesi a sviluppo minimo e dei loro 600 milioni di abitanti. I 5 uomini più ricchi del mondo possiedono beni che superano il PIL (Prodotto Interno Lordo) di tutta l’Africa Subsahariana. Nel mondo di oggi, a dominare è il sistema economico Occidentale, ovvero di tipo capitalistico. Sapendo questo, verrebbe naturale pensare che vi è la possibilità per tutti di avere un’attività o di trovare un lavoro con uno stipendio sufficiente a mantenersi. Se oggi ci troviamo in una condizione dove tre uomini sono più ricchi di 600 milioni di altri loro “simili”, però, è evidente che questo sistema presenta delle
falle e la società è alla continua ricerca di un metodo per allentare questo fenomeno. Una prima falla potrebbe essere identificata nell’industrializzazione e nei suoi effetti; lo sviluppo economico avrebbe dovuto assottigliare la distanza tra ricchi e poveri e non aumentarla, concentrando la ricchezza prodotta nelle mani dei già benestanti. Verrebbe naturale affermare che, chi possiede già una certa ricchezza, ha anche le possibilità e i mezzi per creare nuove fonti di guadagno. Anche le grandi multinazionali contribuiscono a questo divario, prendiamo d’esempio l’Africa: un paese ricco per quanto concerne le risorse, ma uno dei più poveri per quanto riguarda lo sviluppo, questo viene sfruttata dalle multinazionali ricevendo una percentuale
minima del ricavato. Questo “modello” si può applicare anche nelle singole comunità; le aziende, infatti, tendono a riservare uno stipendio più alto ai lavoratori con un livello di specializzazione elevato. Si potrebbe quindi individuare una seconda falla nella formazione, o piuttosto nella minore possibilità di alcuni individui di frequentare gli studi, anche quelli elementari.
In molti paesi, l’istruzione è un privilegio riservato a pochi, e non si parla solo di studi universitari. Molti genitori preferiscono (necessitano di) mandare i figli a lavorare, per contribuire al mantenimento della famiglia, piuttosto che mandarli a scuola a studiare. Questo, purtroppo, interessa anche i bambini e non solo i figli “più grandi” della famiglia. In questo modo, si favorisce la diffusione dell’analfabetismo, il quale diminuisce la possibilità di ottenere un lavoro per molti individui e, di conseguenza, di portare profitto al paese intero. Il problema dell’istruzione però, non è presente solo nei cosiddetti Paesi poveri, ma anche nei Paesi sviluppati, anche se sotto un aspetto diverso. Molti ragazzi, infatti, rinunciano a frequentare l’università a causa degli elevati costi che essa comporta; preferiscono assicurarsi un lavoro “poco pagato” piuttosto che rimanerne senza.
Come si può, quindi, ridurre il divario tra ricchi e poveri, se quest’ultimi sembrano destinati a rimanere tali?
Innanzitutto, tutti i paesi e tutti i suoi abitanti dovrebbero avere la possibilità di frequentare, come minimo, la scuola dell’obbligo. In questo modo, anche se non dispongono di una laurea, sarebbero in grado di trovare un lavoro e si assicurerebbero
uno stipendio, anche se minimo. I paesi con meno difficoltà economiche dovrebbero mandare aiuti a quelli in difficoltà; se le multinazionali e le aziende spostassero alcune sedi in paesi in via di sviluppo, creerebbero nuovi posti di lavoro, ma probabilmente, come detto in precedenza, essi sarebbero sempre occupati da coloro con una certa specializzazione. Questo però potrebbe portare ad uno sfruttamento dei lavoratori, che verrebbero
sottopagati (fenomeno che dovrebbe essere arginato grazie a controlli severi). Si può dire, quindi, che il problema è nell’istruzione, la quale richiede costi che molte famiglie non possono affrontare; un primo passo verso un miglioramento sarebbe dunque quello dell’istruzione gratuita. Un contributo, però, può darlo anche il singolo individuo: se le persone che hanno le possibilità economiche di aiutare gli altri, facessero beneficenza (d’altro canto, c’è chi, pur non possedendo nulla, trova sempre il modo di aiutare gli atri), questa differenza tra ricchi e poveri si ridurrebbe. Si potrebbe inoltre puntare di più sui
prodotti equo-solidali più che sui prodotti delle multinazionali, in questo modo si darebbe un aiuto economico ai paesi “produttori” di questi beni. Un altro aspetto potrebbe essere quello del rispetto dell’ambiente; non rispettandolo, consumiamo sempre più risorse naturali, le quali vengono estratte in maggiore quantità, spesso in paesi come l’Africa, da coloro che possiedono già grandi patrimoni. Essi incassano la maggior parte delle risorse, lasciandone una piccola parte alla comunità e, oltretutto, a prezzi esorbitanti. Per concludere, se per i governi è difficile fare passi così grandi per i paesi sottosviluppati, per noi singoli individui dovrebbe essere più semplice, dunque il cambiamento inizia da ognuno di noi e nel nostro piccolo potremmo inizia a fare la
differenza.
Rossella Mazza