Home Ambasciatori della Festa di Scienza e Filosofia I successi nascono dai fallimenti

I successi nascono dai fallimenti

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Con il termine atomo si definisce uno dei costituenti base della materia. Il termine atomo è di origine greca (deriva dal termine àtomos, indivisibile) fu definito così in quanto alcuni filosofi greci, come Democrito, Epicuro e Leucippo, lo consideravano l’unità più piccola ed indivisibile della materia. Questa ipotesi, priva di prove scientifiche, è rimasta accettata e invariata per svariati secoli. Nel 1809 Dalton, riprese la parola scelta da Democrito per indicare la particella costitutiva della materia: “atomo”. Egli l’aveva immaginata quindi come una particella indivisibile, la più piccola esistente in natura. I fisici e i chimici dell’Ottocento non misero in dubbio questa concezione dell’atomo finché una serie di fenomeni, di esperimenti e di scoperte verso la fine dell’Ottocento, suggerirono che forse l’atomo poteva avere una struttura interna in cui erano presenti altre particelle. Verso la fine del XIX secolo infatti, a seguito della scoperta dell’elettrone, si dimostrò che l’atomo era in realtà un’entità divisibile essendo composto da particelle di dimensioni inferiori dette, appunto per questo motivo, particelle subatomiche. Ma come siamo arrivati a queste scoperte? Nel 1838, Michael Faraday aveva notato che i gas rarefatti, contenuti in un tubo in cui si tentava di ottenere il vuoto, quando erano sottoposti a scariche elettriche, si comportavano in uno strano modo: se all’interno del tubo venivano poste due placche metalliche tra cui si applicava una differenza di potenziale davanti all’elettrodo positivo (anodo) si formava una specie di fluorescenza che andava verso l’elettrodo negativo (catodo). Nel 1876 Eugene Goldstein propose di chiamare queste fluorescenze, raggi catodici. Nel 1897, Joseph John Thomson provò con successo a deviare i raggi catodici applicando un campo elettrico e notò che questi erano attratti dalle cariche positive e respinti da quelle negative. Inoltre ponendo una croce di metallo al centro del tubo notò che i raggi non attraversavano la croce ma vi rimbalzavano contro. Queste erano le prove che i raggi catodici erano costituiti da particelle dotate di carica, che in particolare risultava negativa. In seguito a queste particelle venne attribuito il nome di elettrone. Egli non riuscì a misurarne massa a carica, ma solo il loro rapporto. Nel 1866, Eugene Goldstein, si accorse che nei gas rarefatti all’interno dei tubi di Crookes si potevano osservare anche dei raggi che dall’anodo si dirigevano verso il catodo. Nel 1914 il fisico Ernest Rutherford avrebbe concluso che si tratta di una particella portatrice di carica positiva e massa pari a quella dell’atomo di idrogeno, chiamandola protone. La scoperta del neutrone, avvenuta nel 1932, è attribuita a James Chadwick. Egli bombardando sottili lamine di berillio con particelle α emesse dal polonio, scoprì che dal berillio venivano emesse delle radiazioni secondarie che non risentivano né di un campo elettrico né di un campo magnetico. Ripetendo l’esperimento su altri materiali, dimostrò che tali particelle avevano tutte la stessa massa e che erano prive di carica elettrica e pertanto furono chiamate neutroni. Con la prima metà del novecento risulta ormai chiaro che il mito dell’indivisibilità degli atomi è inaccettabile. Risulta inoltre curioso, il fatto che per secoli questa ipotesi sia stata ritenuta vera e successivamente sia bastata una prima scoperta per far scoppiare una serie di eventi che in poco tempo hanno portato alla concezione odierna.

Si susseguirono inoltre negli anni, diverse ipotesi di modelli atomici di vari scienziati. Il primo è quello proposto da Norman Lockyer, quando ancora non era stata dimostrata l’esistenza dell’elettrone. Egli immaginava che gli atomi fossero costituiti da protoelementi tutti uguali, in numero diverso a seconda dell’elemento considerato. Questo modello era però completamente lontano dalla verità. Thomson invece immaginava l’atomo come una sfera carica positivamente in cui gli elettroni sono posti su sfere concentriche e uniformi in movimento. Il fisico inglese sbagliò però completamente nella disposizione delle particelle con carica positiva.

Modello di Thomson

Il fisico Ernest Rutherford, in un esperimento che coinvolgeva i raggi α, si accorse che il modello atomico di Thomson era errato, in quanto nel suo esperimento capì che la carica positiva non era distribuita uniformemente su tutta la superficie atomica. Nel 1911 Rutherford propose il suo modello atomico. Egli immaginava un nucleo positivo al centro dove era concentrata la maggior parte della massa atomica e gli elettroni che ruotavano intorno al nucleo come dei pianeti. Gli elettroni e le cariche positive nel nucleo erano di pari numero e Rutherford si accorse che ogni elemento chimico era caratterizzato da un numero preciso di cariche. Per quanto il modello modello di Rutherford fu un passo in avanti rispetto a quelli precedenti, esso aveva ancora bisogno di correzioni, perché gli elettroni non possono essere trattati come pianeti. Infatti se fossero stati fermi, sarebbero stati attirati dal nucleo, mentre se fossero stati in movimento avrebbero perso progressivamente energia. Nel 1913, il danese Niels Bohr perfezionò il modello di Rutherford, introducendo concetti elaborati da Max Planck. Bohr riprese l’immagine del nucleo positivo intorno a cui ruotavano gli elettroni, ma stabilì che le orbite di questi non potessero essere casuali, ma potessero compiere solo orbite corrispondenti a una ben precisa energia e nel passaggio da un’orbita all’altra emettono o assorbono quanti di energia.
                                              Modello atomico di Bohr

Infine il fisico austriaco Erwin Schrödinger impostò e risolse un’equazione matematica che descrive il comportamento dell’elettrone nell’atomo di idrogeno. Da questi studi scaturì il modello quantomeccanico dell’atomo, tuttora accettato dalla comunità scientifica. Notiamo quindi che la scienza non è soltanto un accumulo di risultati, ma piuttosto un’alternarsi tra successi e fallimenti. Come possiamo vedere dalla storia della modellizzazione dell’atomo, spesso è proprio da questi vicoli ciechi che si gettano le basi per proseguire nella ricerca scientifica.

Davide Rosatti

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