Il materialismo è la concezione filosofica, solitamente monista, per la quale l’unica realtà che può veramente essere detta esistere è la materia e tutto ciò che deriva dalla sua continua trasformazione.
Una delle difficoltà maggiori nell’approccio al materialismo sta nel districarsi tra la molteplicità dei suoi indirizzi storicamente identificati che i vari studiosi hanno teorizzato. Nella storia, infatti, si susseguirono numerosi intellettuali che si dedicarono allo studio della struttura del mondo e delle sue caratteristiche. Il problema venne esposto per la prima volta nella Grecia Ionica, la culla culturale nella quale si sviluppa quell’indirizzo di pensiero che dai cosiddetti Naturalisti (Talete, Anassimandro, Anassimene) porta, nel V secolo a.C., ad Anassagora (sostenitore dell’esistenza di semi come elementi ultimi della realtà, infinitamente divisibili, distinti su basi qualitative) e, in particolare, a Leucippo, al quale va attribuita la prima formulazione dell’Atomismo come forma più antica e coerente di materialismo, poi sviluppata da Democrito. Democrito, infatti, è considerato il cofondatore della dottrina dell’atomismo, in base a cui l’universo è formato dal vario aggregarsi di un numero infinito di “atomi”, descritti come i costituenti ultimi della realtà e come particelle di materia invisibili agli occhi e non ulteriormente divisibili, tra loro qualitativamente identiche ma differenti per aspetti quantitativi (forma, le dimensioni e la posizione). Tale dottrina è il frutto di una deduzione razionale, che a sua volta discende da una riflessione sul problema della divisibilità all’infinito sollevata da Zenone. Contro quest’ultimo, gli atomisti affermano che la divisibilità all’infinito valga solo in campo logico- matematico, ma non in campo reale, perché sarebbe assurdo pensare di dividere all’infinito la realtà sensibile. Anche l’idea che gli atomi siano immersi in uno spazio vuoto viene dedotta per via razionale: se c’è il movimento, ci deve per forza essere il vuoto in cui gli atomi si spostano. Dopo la morte di Democrito l’indirizzo atomista conosce una profonda eclissi, in coincidenza con l’imporsi dell’idealismo platonico. Mentre per gli atomisti la realtà consisteva negli aggregati atomici immersi nel vuoto, per Platone consta di una dualità, con un principio divino, il Bene, corredato da “idee” da cui la materia riceve forma e realtà. Ma quando sembrava che fosse finito nell’oblio, Epicuro recupera la dottrina democritea e il suo atomismo sarà ripreso da Lucrezio Caro nel De rerum natura. Attraverso la critica che ne fece Aristotele, l’atomismo di Leucippo e Democrito fu conosciuto e discusso, sia nell’Umanesimo che nel Rinascimento, durante il quale si afferma negli ambienti della nuova filosofia con Giordano Bruno e della nuova scienza con Francesco Bacone. Nel 17° secolo, grazie a Galileo Galilei, René Descartes e Pierre Gassendi, la concezione atomistica ricevette una formulazione più precisa, di tipo quantitativo. Scientificamente parlando l’atomo è la più piccola quantità di materia contenuta in una sostanza che rimane invariata qualunque sia la reazione chimica cui quella sostanza partecipa. Esso però non rappresenta il costituente ultimo della materia: l’atomo è infatti sostanzialmente formato da tre tipi da particelle quali gli elettroni, protoni e neutroni. Tale struttura viene intuita da Dalton, artefice della teoria atomica della materia, secondo cui la materia è discontinua proprio perché fatta di particelle. Ma saranno i posteri come Thomson, Rutherford e Bohr, i quali, sulla base della teoria del fisico inglese, concorsero alla definizione di atomo che noi oggi conosciamo.
Diletta Galano