La memoria è la capacità del cervello di conservare informazioni sotto forma di ricordi che con il tempo riemergono grazie a degli eventi che accadono nel presente, per questo il processo che compie la mente volge dal presente al passato e non viceversa.
A ognuno di noi capita di avere dei ricordi che non vogliamo cancellare, per questo cerchiamo di caricarli sempre di nuovi significati, cerchiamo di mantenerli vivi. Ma come ci difendiamo dai brutti ricordi? Quelli legati ad eventi traumatici, quelli che si caricano di tonalità scure, angosciose e terrificanti? Molto spesso crediamo che dimenticare un brutto ricordo sia la soluzione giusta. Tuttavia, per effetto delle analogie, il ricordo indesideratoriemergerà e continuerà a farci stare male. La cura, nella prospettiva psicoanalitica, consiste proprio nel favorire il ritorno del rimosso, nel ridare diritto di cittadinanza nella coscienza al contenuto ideativo fonte del conflitto.
Dunque, la cosa migliore da fare, anche se apparentemente paradossale, è tenere vivi i ricordi per analizzarli, cercando di cambiare il nostro comportamento di fronte al ricordo dell’accaduto per poter andare avanti e non essere più tormentati. A volte però l’idea di andare avanti ci spaventa. E questo non solo rispetto alle vicende personali, quelle che ci hanno colpiti nella nostra individualità, ma anche relativamente agli eventi storici, quelli che riguardano l’umanità e che, a volte, ci fanno vergognare di esserne parte.
Come si può, ad esempio, dimenticare l’Olocausto? Come si possono dimenticare sei milioni di ebrei sterminati per una presunta superiorità genetica della razza ariana e perché ritenuti responsabili delle crisi economiche che affliggevano la Germania?
Per questo si celebra la giornata della memoria, per questo si incontrano i sopravvissuti dei campi di concentramento, per questo visitiamo i musei e i luoghi della vergogna, per ricordarci fino a che punto l’uomo si è spinto e può ancora spingersi e per fare in modo che ciò non accada mai più.
Nonostante ciò esiste il negazionismo ovvero una corrente di pensiero antistorica e antiscientifica il cui principale punto è la negazione della veridicità dell’Olocausto. Tale teorizzazione nega una serie di eventi connessi al fascismo e al nazismo. Ma com’è possibile che sia nata tale corrente di pensiero? E come è possibile credere in essa? Fin dagli anni ’50 del ‘900 iniziarono le prime contestazioni della responsabilità tedesca nei confronti dell’Olocausto. Secondo queste tesi fu il popolo ebreo a dichiarare guerra alla Germania nel 1933 e i tedeschi avrebbero semplicemente risposto. I negazionisti ritengono inoltre che i campi di concentramento non servissero per sterminare gli ebrei ma solo per rinchiuderli. Inoltre, durante il processo di Norimberga, sostennero che alcune prove fossero incongruenti, in particolare quelle riguardanti le camere a gas.
Oggi il negazionismo è considerato reato in alcuni paesi come Austria, Belgio e Germania, ove la pena prevista è la reclusione, che può arrivare fino a dieci anni. Punire questa ideologia non servirà a far cambiare idea a coloro i quali non credono che lo sterminio degli Ebrei sia accaduto, può solo contribuire a modificare in parte le coscienze, ma è compito delle nuove generazioni e della loro formazione, impedire che certi eventi storici vengano dimenticati.
Giorgia Bizzarri