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LA MENTE

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Ci sono dei momenti in cui la follia diventa così vera che non è più follia. Charles Bukowski Il termine follia deriva dal latino “follis” e il suo significato rimanda a “oltre, pallone pieno d’aria” (cfr. Treccani.it).
Eppure l’accezione di questa parola è cambiata a seconda dei diversi periodi storici, della cultura, delle convenzioni sociali, a tal punto da essere arrivati a considerare folle qualcosa o qualcuno che prima era definito normale. In passato il termine ‘folle’ o ‘follia’ indicava volgarmente la ‘demenza’ ed era designato per coloro a cui oggi viene diagnosticata una malattia mentale, che consiste in un’alterazione delle normali funzioni psichiche. Un tempo però, il malato mentale era visto più come un folle che come un malato, appunto. Nell’antichità si pensava che la follia fosse la manifestazione di una forza di origine divina entrata nel corpo della
persona colpita, questa era la concezione della pazzia intesa come invasamento divino.


In epoca medievale si susseguirono due concezioni, prima si elaborò la follia come possessione diabolica, poi il folle cominciò ad essere considerato colpevole e passibile di punizione, di conseguenza la follia fu concepita come una colpa. Nei secoli XVII e
XVIII le persone con disturbi mentali venivano recluse in vere e proprie prigioni. Da queste ultime nacquero poi luoghi specifici per l’internamento, ovvero i manicomi (dal greco ‘mania’, “pazzia”, e ‘komeo’, “curare”). All’interno dei manicomi vi era
l’adozione di pratiche “curative” che erano in realtà delle violenze fisiche e psicologiche vere e proprie, che andavano a disumanizzare il malato mentale.


In Italia nacque l’impulso di un cambiamento grazie a Franco Basaglia, sostenitore dell’idea che il malato mentale internato finisse per perdere la propria dignità di essere umano. Nel 1978 Basaglia fu promotore della legge 180, che prevedeva la chiusura
dei manicomi e l’istituzione dei Centri di Salute Mentale (CSM), in cui si instaurassero nuovi e più umani rapporti con i malati. La legge 180 fu una “legge quadro”, ovvero una normativa che demandava alle Regioni la scelta delle misure da adottare per il raggiungimento dell’obiettivo, in questo caso della chiusura dei manicomi, evitando che avvenisse nell’immediatezza e permettendo così alle realtà
territoriali di attrezzarsi: ma occorsero molti anni prima che tutti i manicomi fossero effettivamente chiusi.


Attualmente i disturbi mentali sono descritti nel ‘Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders’ («Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali») ed è uno degli strumenti diagnostici per disturbi mentali più utilizzati da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo. La prima versione risale al 1952 (DSM-I) e fu redatta
dall’American Psychiatric Association (APA). L’attuale versione è il DSM 5.


Per ciascun disturbo mentale è effettuata una breve descrizione del cosiddetto “funzionamento generale”, che allude alle strategie di gestione psichica ed ambientale dell’individuo, a grandi linee, ed un elenco di comportamenti sintomatici o stili di gestione delle emozioni o altri aspetti della vita psichica. Se n’è compiuta di strada per umanizzare il malato di mente.

Sara Lisita
IVB scienze umane
Liceo Sesto Properzio
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