Grazie alle constatazioni sulla stima della grandezza dell’universo derivate dal Grande Dibattito (1920), l’astronomo Hubble riuscì sorprendentemente a misurare la distanza di una nebulosa a spirale, chiamata M31 nella costellazione di Andromeda. Così ridimensionò la visione degli astronomi, che come Shapley, ritenevano che l’universo terminasse nella nostra galassia.
La teoria della relatività generale, enunciata da Einstein nel 1917, rese noto che lo spazio poteva curvarsi e questo permetteva all’universo di essere racchiuso in sé stesso. Ben presto venne smentita la validità del modello di Einstein e le successive osservazioni astronomiche rivelarono l’allontanamento delle galassie con una velocità proporzionale alla distanza, segno che lo spazio si espandeva. Questo significava che la distanza tra qualunque coppia di punti nell’universo doveva essere stata minore in passato, perciò, procedendo a ritroso nel tempo, si andava inesorabilmente incontro a un momento in cui la distanza diventava nulla. In quello stesso istante si sarebbe verificato il fenomeno della singolarità: un punto in cui lo spazio-tempo stesso cessa di esistere (qualunque quantità fisica usata per descrivere il contenuto dell’universo sarebbe stata infinita). L’universo esiste da un tempo finito, la porzione che ne possiamo effettivamente osservare dalla nostra posizione è finita, delimitata da un orizzonte il cui raggio è pari alla distanza che la luce può aver percorso dal Big Bang a oggi.
Il modello del Big Bang ci costringe quindi a confrontarci con almeno due tipi di infinito: quello della singolarità iniziale e quello dell’estensione potenzialmente infinita di ciò che esiste al di fuori dell’orizzonte osservabile. Attorno all’inizio degli anni Ottanta del 1900, emerse la nuova teoria dell’inflazione cosmica, che prevedeva un periodo di espansione accelerata in un’epoca immediatamente successiva all’ipotetico momento iniziale. Il meccanismo fisico che scatenava l’inflazione era basato sull’energia dello spazio vuoto, per questo la fase di inflazione aveva, da un lato, l’effetto di produrre una geometria piatta nell’universo osservabile. Dall’altro, portava alla creazione di piccole disuniformità nella distribuzione iniziale di materia, i “semi” da cui la gravità ha col tempo fatto addensare galassie e ammassi di galassie. Entrambe queste previsioni sono congruenti con l’idea generica di inflazione, ormai comunemente accettata nella descrizione dell’universo.
L’inflazione permette di eludere il problema della singolarità iniziale: il Big Bang sarebbe solo il risultato di una fluttuazione nell’energia di una microscopica regione di spazio-tempo vuoto. L’energia dell’universo non è mai stata infinita, ma solo estremamente grande. Ma se l’inflazione sembra poter cancellare l’infinito dall’istante iniziale, lo stesso non si può dire per l’estensione spaziale dell’universo, poiché il fenomeno dell’“inflazione eterna” comporta l’esistenza di regioni di spazio-tempo che si espandono esponenzialmente. Stanto a queste conclusioni si originerebbero continuamente un’infinità di altri universi, a partire da particolari regioni di spazio-tempo vuoto, fuori del nostro orizzonte e ciascuno di questi con diverse caratteristiche fisiche, scaturite dalle condizioni causali presenti nella regione di vuoto da cui esso è emerso. Questa idea di “multiverso” appare complessa dal momento che, se esistessero infiniti universi con diverse caratteristiche fisiche, prevedere la probabilità di un particolare tipo di universo diventerebbe un compito mal definito – un problema noto in cosmologia come “problema della misura”. Hawking si oppone alla teoria convenzionale dell’inflazione eterna, che contempla il nostro Universo come un frattale infinito, dunque pone dei limiti a questa infinità: gli universi alternativi potrebbero non essere governati da leggi fisiche radicalmente diverse e, al contrario, non essere molto differenti l’uno dall’altro. Sulla stessa scia critica, Roger Penose segnala l’inattendibilità della repentina espansione dell’Universo neonato.
Tutto ciò evidenzia la difficoltà dei nostri strumenti teorici nello studio di situazioni che vanno ben oltre i loro limiti, e la necessità di trovare una sintesi che integri le descrizioni, conflittuali e incomplete, della relatività generale e della meccanica quantistica.
Autori: Ilaria Di Vincenzo e Grazia Di Loreto – IV A Liceo Guglielmo Marconi, Pescara