Prima di tutto è necessario stabilire cosa significa ricordare da un punto di vista scientifico. In uno studio pubblicato su Nature Neuroscience, è stato osservato cosa accade al cervello quando cerchiamo di ripescare dal cassetto della memoria un’immagine piuttosto che un’altra, un ricordo piuttosto che uno simile, associato a uno stesso stimolo (magari una stessa parola). Se infatti si chiede a un gruppo di persone di richiamare alla mente solo uno dei due ricordi, l’altro, per così dire interferente, in quanto innescato dalla stessa parola, pian piano svanisce. Quasi come il cervello scegliesse di eliminare quello che potrebbe confonderci, preferendo e consolidando solo quello che richiamiamo spesso alla mente e, giudicando l’altro meno importante di fatto lo cancelli. Quella presentata su Nature Neuroscience non è che l’ultima delle ricerche condotte sui misteriosi meccanismi con cui si formano e si ripescano le memorie.
“Se per tutti – dove con tutti intendiamo i non-scienziati – un ricordo è semplicemente il recupero di un’informazione come immagine del passato, che si archivia nella memoria e, alla quale normalmente cerchiamo di dare un’interpretazione ed è spesso legata a un certo carico emotivo; per chi si occupa di studiare la memoria un ricordo è anche altro”, comincia Massimo Turatto, direttore vicario del CiMec (Centro interdipartimentale di mente e cervello) dell’Università degli studi di Trento: “La ricerca neuroscientifica ci dice che un ricordo o memoria corrisponde all’attività sostenuta di alcuni neuroni, e ad alcune loro modifiche strutturali, che mantengono nel tempo quello che noi ricordiamo”. Sì, ma come? Quando apprendiamo qualcosa – sia coscientemente che incoscientemente, nel nostro cervello avvengono dei processi ripetibili. “Ogni nuovo ricordo deve necessariamente corrispondere a un cambiamento”, spiega Turatto: “Sia a livello strutturale, con aumento dei dendriti (le ramificazioni che partono dal corpo centrale del neurone), e dei bottoni sinaptici (le zone di contatto tra neuroni), che a livello fisiologico”. Questo significa, continua il ricercatore, che nel momento in cui stiamo imparando qualcosa (formando una memoria, un ricordo) si osserva un aumento nella frequenza di scarica tra i neuroni coinvolti, così come un aumento della quantità di neurotrasmettitori, di uno in particolare: l’acetilcolina. La formazione di un ricordo è un evento in cui quindi il cervello dà prova della sua grande plasticità, con la formazione di nuove connessioni o il rafforzamento di altre.
“Si parla, inoltre, spesso dell’ippocampo, una struttura bilaterale situata nei lobi temporali mediali come la zona del cervello fondamentale nel produrre i ricordi, e così è, ma non è qui che hanno sede”, spiega Turatto. Dove abbiano sede le memorie, infatti, non è ancora ben chiaro ai neuroscienziati. L’ipotesi più convincente ad oggi è che queste si trovino dislocate nella corteccia cerebrale, secondo uno schema sensoriale.
Ma da un punto di vista di cosa siano i ricordi per noi cosa si può dire? I ricordi molto spesso nascono spontaneamente, come frutto di conversazioni o di pensieri che associamo liberamente nella nostra mente. A tutti noi poi accade che un profumo, una canzone, la lettura di una poesia o un film abbiano il potere di portarci in un battibaleno in un altro luogo e in un altro tempo per assaporare di nuovo emozioni e sensazioni che credevamo troppo lontane o addirittura perse; proprio come si diceva all’inizio.
Alcuni psicologi hanno sottolineato la positività del ricordare e del ripercorrere la propria vita attraverso i ricordi; altri invece hanno sottolineato l’aspetto relazionale e sociale del processo di ricostruzione del passato attraverso la narrazione. La narrazione della propria storia, la sua condivisione e la ricerca del significato del presente sulla base del proprio passato, infatti, favorisce la possibilità di ricostruire la trama della propria vita, di riconciliarsi con sé stessi e con propri cari e di rafforzare la propria identità.
Tutti quindi siamo fatti di ricordi che ci determinano e ci costituiscono, essi sono le nostre radici e delineano ciò che siamo. Si potrebbe quindi dire che i ricordi sono la nostra esperienza passata e costituiscono la nostra essenza, in quanto noi siamo ciò che abbiamo vissuto in precedenza. Di conseguenza i ricordi che abbiamo influiscono sul nostro presente, guidandoci, a volte, in base a ciò che abbiamo già passato. Questo ci dimostra che spesso non siamo così lontani da dove vogliamo arrivare, che dentro di noi custodiamo già buona parte della soluzione nel nostro baule delle esperienze. Lo si può spiegare, per esempio, con le ricerche sui cosiddetti “neuroni specchio”, i quali, permettono di collegarci a un ricordo del nostro cervello, ricreando lo stesso stato sperimentato nell’istante originale, che si tratti di emozioni gradevoli o no.
A volte, però, i ricordi ci fanno anche soffrire oltre che renderci felici e solari. Può capitare infatti che, in un momento ci aggrappiamo troppo a un ricordo specifico e arriviamo al punto di allontanarci dalla realtà. Ma focalizzandoci sui bei ricordi, si sa che essi si utilizzano spesso in psicologia per creare connessioni con esperienze personali significative del nostro passato. Tutti gli avvenimenti con energia positiva che, abbiamo vissuto in determinati momenti della nostra esistenza, hanno il potere di ricaricarci di spirito buono nel presente. Possiamo anche imparare a rivivere i nostri ricordi piacevoli e così trarre beneficio dagli effetti positivi che ci può fornire un ricordo di una situazione che ci ha soddisfatti, emozionati e motivati.
Quindi, tanto più ci concentriamo sulle cose belle che ci sono successe nella vita, più ricarichiamo le nostre batterie di energia positiva. Si può quindi concludere dicendo che, nonostante sia vero che non possiamo vivere di ricordi, i ricordi ci aiutano a vivere.
Caterina Palmeri