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Lettera al relatore

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Gent.mo  Professor Giugliano Michele,

sono una studentessa frequentante il terzo anno presso il Liceo Scientifico E. Torricelli di Bolzano.

Le scrivo perché interessata all’argomento che Lei tratterà nella conferenza “Cervelli a banda larga” del 28 aprile 2018. Con l’intera classe sarò presente al Festival Scienza e Filosofia di Foligno per il progetto relativo all’alternanza scuola-lavoro, ma solamente per due giorni con rientro previsto nella data della sua conferenza. Per questo motivo, purtroppo, non potrò assistere al Suo discorso.

Colgo quindi l’occasione per porLe le mie domande in questa lettera.

Dalle ricerche che ho effettuato è emerso che lavora come  Professore Ordinario all’Università di Anversa, dove dirige il laboratorio di Neurobiologia Computazionale e Neuroingegneria, ma non solo. É riconosciuto anche come Visiting Professor all’Università di Sheffield, al Politecnico federale di Losanna in Svizzera e all’Istituto di Neuroelettronica di Lovaniolo.

Mi sono poi ritrovata nei Suoi interessi di ricerca, quindi la Biofisica, le Neuroscienze cellulari e le nuove tecnologie per interfacciare computer al tessuto nervoso.

Da un paio di mesi a questa parte ho iniziato a pensare a quale facoltà universitaria iscrivermi, e quindi quale percorso formativo intraprendere. Ho recentemente sentito parlare nell’ambiente scolastico del tema delle neuroscienze, che ha immediatamente catturato la mia attenzione affascinandomi. In particolare, ho nutrito in poco tempo un notevole interesse riguardo alla branchia delle Neuroscienze affettive e della Psicoanalisi.

In riferimento alla materia sopramenzionata volevo chiederle, cosa L’ha spinta a scegliere questo determinato campo di studi in età adolescenziale? Le Sue aspettative sono state attese o, al contrario, disattese? E poi, il termine di questo percorso di studi, quali sbocchi professionali Le ha offerto? Grazie in anticipo per la sua disponibilità e per le sue eventuali risposte. Cordiali saluti,

Scuttari Lara

RISPOSTA:

Cara Sig.na Scuttari,

grazie per la Sua lettera e per il Suo interesse nelle mie attività di ricerca scientifica.  La sua domanda mi riporta indietro di qualche anno e mi fa pensare all’ansia che avevo nello scegliere la facoltà universitaria a cui iscrivermi.  L’ansia era dovuta al fatto che la quasi totalità delle persone a cui parlavo per chiedere consiglio, mi indicavano esclusivamente le statistiche di occupazione giovanile o l’ampiezza del mercato del lavoro in uno o in un altro settore disciplinare.  In verità, io cercavo di sapere cosa effettivamente si studiasse in una o in un’altra facoltà quali fossero le sfide della conoscenza umana, quali le opportunità di scoperte scientifiche (e di prendere un Nobel, …sì lo confesso, anche se sembra un po’ ridicolo).

La mia ansia di conoscenza era del tutto giustificata perché a mio avviso è la passione per lo studio di una disciplina, che nel mio caso mi ha portato a lavorare all’estero, a contare per una vita realizzata, più che lo stipendio a fine mese. Ho così scelto di seguire la mia passione per le discipline scientifiche e matematiche e mi sono iscritto a ingegneria elettronica: vede, volevo (e voglio tutt’ora!) costruire un cervello artificiale fatto di circuiti elettronici.

Sentivo di dover imparare il più possibile in domini conoscitivi alla frontiera del sapere.  Le mie aspettative sono state del tutto attese, grazie all’incontro con un professore all’università (al terzo anno).  Questi scrisse alla lavagna una formula matematica che spiega come avvenga la propagazione degli impulsi delle cellule del cervello.  Era un professore di Biofisica, che e’ stato il mio mentore negli anni successivi.  Quell’equazione mi ha folgorato: per la prima volta ho compreso che esistesse un settore di studio nel quale “la materia vivente” (forse persino “la coscienza”) potesse essere studiata dagli ingegneri, magari ricostruita, riparata, etc.  Ho capito che era quella la mia strada e che avrei fatto di tutto per occuparmene: anche lasciare il mio paese e andare all’estero. Alla fine dei 5 anni di ingegneria, ho scelto di continuare con un dottorato di ricerca (il titolo di studi più alto, nel panorama accademico) e dopo altri 3 anni sono stato chiamato quale ricercatore nella facoltà di medicina all’università di Berna (Svizzera).

Si chiederà certamente cosa ci facesse un ingegnere con i medici: ho continuato a studiare il funzionamento elettrico del cervello.  Da questo punto di vista, non la so consigliare dal punto di vista delle prospettive professionali, se non indicarle che la carriera accademica e di ricercatore e’ delle più dure, meno retribuite finanziariamente, e più faticose.  Nonostante abbia interessi personali, non professionali, per la psicoanalisi, non mi sento di poterla indirizzare sulle Neuroscienze affettive: sono troppo ignorante in quel campo.  Posso pero’ certamente invogliarla ad abbracciare un contesto di studio universitario fin da subito interdisciplinare, consigliandole di volgere il suoi interessi dapprima verso discipline cosiddette “hard” come la fisica, l’ingegneria, la matematica.  E’ più facile studiare queste materie con una mente giovane e orientarsi successivamente alle Neuroscienze.  A mio personale avviso la controparte biologica risulta più facilmente accessibile a chi ha una preparazione solida nelle scienza quantitative. Dovrebbe poter trovare facilmente il mio indirizzo di posta elettronica: sarei lieto di seguire il suo percorso e incoraggiare le sue scelte. Il mondo di oggi e’ piccolo e internet avvicina le persone: non si faccia scrupoli a scrivere alle persone che vuole conoscere o dalle quali vorrebbe avere delle risposte. Le faccio una preghiera fin da ora: non smetta di sognare, di credere nelle sue capacita’, di seguire le sue passioni e di essere ambiziosa.

A presto,

MG

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