Le malattie mentali sono “manifestazioni di una disfunzione comportamentale, psicologica o biologica della persona, clinicamente significativa, associata a un malessere o a una menomazione” Enciclopedia Treccani.
Una condizione ancora oggi considerata una sciagura, qualcosa di inaccettabile e incurabile. Fino all’approvazione della legge Basaglia, ai “pazzi” erano riservate strutture specifiche, i manicomi, nei quali, più che curate, queste persone venivano “torturate”. Mancava loro qualsiasi tipo di sostegno morale o affettivo, sostegno che spesso non trovavano neppure nelle loro famiglie: appena si scopriva che una persona era affetta da malattia mentale la si cominciava a vedere come “aliena”, perché non è facile accettare una persona “matta”. Per questo le persone malate preferivano essere ospitate in una struttura piuttosto che stare con i propri cari, perché ciò che le faceva più soffrire era non essere accettate da coloro a cui volevano più bene.
Con la legge 180 del 1978 (legge Basaglia) i manicomi vennero finalmente chiusi. L’obiettivo della legge non era affatto quello di “liberare i matti”, ma, quello molto più importante; di cambiare la semantica della malattia grazie a un nuovo metodo terapeutico Antipsichiatria.
Con questo nuovo metodo il malato non veniva più considerato pericoloso, ma un essere il quale deve essere aiutato a far emergere le proprie qualità umane. Quella di Basaglia fu una vera e propria rivoluzione.
Oggi al posto dei manicomi ci sono gli ospedali psichiatrici giudiziari e il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) nel caso di pazienti con «alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra ospedaliere sempre nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione».
E se la nostra generazione vede ormai la malattia mentale come una normale patologia da curare, al pari delle altre malattie, la generazione dei nostri genitori e nonni sembra ancora considerarla come una sciagura o qualcosa di cui vergognarsi. Basti pensare che per molti adulti persino andare dallo psicologo significa “essere matti”.
Il prossimo obiettivo da raggiungere, quindi, dovrebbe essere quello di eliminare questo stereotipo che collega il malato mentale ad un pazzo e capire meglio che il malato mentale non è diverso dalle altre persone, anche lui pensa e vive come tutti, ha solo una diversa funzionalità del cervello. Considerare la malattia mentale come un aspetto del vario e multiforme funzionamento del cervello apre affascinanti prospettive di scoperta, di studio e di conoscenza. Si pensi, ad esempio, alle ricerche sulla memoria: oggi si sa che la memoria viene immagazzinata nell’ ippocampo, che si trova all’interno del lobo temporale del nostro cervello. E la cosa più affascinante è che questa struttura cerebrale è presente anche negli animali. Ma quanto altro c’è ancora da scoprire?
Citando il bellissimo film di Ryan Murphy Mangia, prega ama, “Se riesci a fare un po’ di spazio nella tua mente si apre una porta e allora sai che farà l’universo? Ti inonda e tutto il resto non conta più…”. Quanto fosse importante aprire la mente l’aveva capito, negli anni Settanta, proprio Franco Basaglia che ha dato finalmente una possibilità di cura a coloro che non l’avevano mai avuta.
Safa El Atiqi, 4AS Liceo Properzio Assisi