“La disoccupazione giovanile è un grave problema che richiede di essere affrontato innanzi tutto in termini economici, ma che va affrontato anche, e non meno urgentemente, come una malattia sociale, dal momento che la nostra gioventù viene derubata della speranza e vengono sperperate le sue grandi risorse di energia, di creatività e di intuizione”. (Papa Francesco nell’udienza con la fondazione Centesimus Annus pro-Pontifice).
La preoccupazione espresse da papa Francesco nascono da una situazione” fotografata” in maniera oggettiva dagli ultimi dati Istat: Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è pari al 40,1%.
I dati fanno riferimento ai giovani compresi tra i 15 ed i 24 anni, insieme che è costituito a sua volta da due sottoinsiemi differenti tra loro: da una parte troviamo la fascia di età che va dai 15 ai 19 anni, composta per la maggior parte da soggetti che frequentano ancora la scuola, dall’altra troviamo la fascia di età che va dai 20 ai 24 anni di età, che comprende coloro che non hanno frequentato l’università o che hanno finito presto gli studi. E’ quest’ultima la fascia a cui si deve porre più attenzione, poiché al suo interno si registra il maggior numero di giovani disoccupati.
‘’Molta disoccupazione dipende da un disallineamento fra le abilità di coloro che cercano lavoro e le abilità offerte da un sistema educativo – formativo che ha perso contatto col mondo del lavoro.’’ (fonte: Il Sole 24 Ore,2016 ) .
A questo punto non resta che chiedersi se per un giovane oggi sia meglio lavorare in condizioni precarie o non retribuito oppure non lavorare affatto.
Il dramma della disoccupazione non coinvolge soltanto un disagio economico per chi ne è coinvolto ma provoca nell’individuo anche effetti psicologici come la mancanza di autostima, la sensazione di insuccesso professionale e la rassegnazione che possono sfociare in una forma di depressione e ansia.
Rimanere inattivi perciò è un’ipotesi da non seguire e questo non significa che la ‘’via della precarietà’’ sia giusta, ma che di fronte ad un mercato del lavoro in continuo cambiamento è necessario trarre delle risorse in campo formativo da quello che potrebbe sembrare uno sfruttamento del lavoratore.
Tali risorse possono diventare delle possibilità di apprendimento in diversi settori, da integrare nel proprio curriculum vitae e rendersi di conseguenza maggiormente appetibili di fronte alle imprese che richiedono ai lavoratori sempre più elevate capacità, competenze specifiche e intraprendenza. Quindi il lavoratore che non possiede determinate competenze come ad esempio le competenze informatiche, scientifiche o la conoscenza di una seconda lingua (oggi indispensabili) può acquisirle tramite diverse iniziative come il programma Erasmus plus o gli stage in azienda: entrambe hanno l’obbiettivo di arricchire il bagaglio formativo di un giovane lavoratore anche se in modi differenti.
La prima è attiva in tutto il territorio europeo e permette al giovane di inserirsi in un nuovo contesto socio-economico nel quale può lavorare e imparare allo stesso tempo una nuova lingua.
La seconda, invece, permette ad un giovane di entrare a contatto con il mondo lavorativo attraverso una azienda presente sul territorio italiano nella quale potrà imparare un determinato mestiere.
In entrambe le iniziative si possono riconoscere vantaggi e svantaggi per il lavoratore stesso.
I vantaggi consistono nel:
- Inserirsi in una realtà diversa;
- Imparare una nuova lingua (nel caso si vada all’estero);
- migliorare le competenze professionali degli individui;
- Dare un ‘’ metro di paragone’’ ai giovani con il quale decidere effettivamente in quale campo lavorativo cimentarsi;
- Allargare le possibilità di conseguire un posto di lavoro stabile.
Gli svantaggi consistono in:
- Non avere una vera e propria retribuzione ma sono un rimborso spese (in entrambi i casi);
- Non offre una stabilità;
- E’ una condizione temporanea;
- Spesso il “mercato” cerca persone da sfruttare a prescindere dalle loro competenze per lavori precari, mai pagati che generano, però, profitti molto alti.
In conclusione si può affermare che pur essendo la condizione lavorativa in Italia pressoché instabile per i giovani, è necessario che questi non divengano inattivi ma che cerchino di ampliare le proprie competenze con altre attività per avere così maggiore possibilità di essere assunti.