Caro Filosofo
Lei ha intitolato il suo intervento “La verità e il pericolo. Un excursus fra filosofia e poesia” e proprio per questo il tema che lei presenterà mi ha notevolmente interessato.
In primo luogo perché, come lei, anche io amo la scrittura come mia unica forma di comunicazione con il mio agitato ego e poi perché vedo questo titolo come una pagina da interpretare e da sfogliare con la mente colma di domande. Io immagino un titolo diverso e forse più audace, Galileiano direi: “La verità è pericolo? Un excursus tra mente e parola.”.
Non voglio sovvertire il titolo così bello che lei ha scelto ma voglio soltanto provare a pensare, in inglese è più semplice definire ciò che voglio provare a fare con il verbo fraseologico figure out, figurare un discorso.
Secondo lei la verità non è essa stessa pericolo?
Per millenni in nome della verità e della fame della conoscenza sono state illuminate città da fuochi infausti e urla disumane di uomini in cerca della libertà come unico diritto di vita.
Ho sempre immaginato il tempo come un bambino che delle volte si divertiva a balzare di millenni, saltando parentesi atroci come il buio Medioevo e l’epopea sanguinaria delle due guerre mondiali.
Ed in quegli attimi di oblio vedo la verità celata dalla paura di essere scoperta, depredata dall’ignoranza travestita da padrona.
Ho sempre attribuito alla verità il termine coraggio perché per parlare, per rivelare, bisogna combattere contro chi ci è contrario e accendere la luce di una stanza rimasta al buio per troppo tempo.
È bello quando di mattina, con le palpebre appesantite dal sonno, osserviamo le luci del mattino infrangersi contro la parete e creare mille meravigliosi disegni.
Ecco, io la verità così la immagino: una luce che, come nel mito Platonico, si rivela solo alla fine di una scalata faticosa e pericolosa.
Perciò, mi chiedo: la verità accompagnata dal pericolo o la verità come pericolo stesso?
È il primo anno che studio filosofia alle scuole superiori ed è il sesto che mi cimento nella scrittura della poesia.
Sembra lontano il termine mente dalla filosofia ma se si ragiona, se si osserva da vicino il fenomeno del fare filosofia, si carpisce lo stupendo senso di astrattezza e di raffinatezza del termine dialettica o nella consequenziale e dinamica struttura dei sillogismi aristotelici.
Mi dicono di ragionare mentre faccio filosofia, mi dicono di ragionare mentre uso i numeri ma mai, mi hanno detto di usare la mente per fare queste cose.
Penso ci sia un senso di realismo in tutto questo: accorgersi che non siamo più capaci di usare la mente per fare filosofia o per dare vita all’apatia dei numeri scritti su un foglio bianco.
Proprio lei, la carta di un foglio, è la cosa più bella e viva che io conosca.
La parola come tale e come risultato della nostra mente.
La parola in dinamica relazione con i nostri pensieri e con la nostra vita.
Io amo scrivere e lo faccio da quando, a sei anni, provai ad inventare la storia di un piccolo cagnolino ferito ad una zampa.
Più crescevo e più le parole prendevano forma diventando prima cane, poi donna, uomo, famiglia, vita.
Non dimenticherò mai la prima volta che finii un racconto: l’ultimo punto di una pagina piena di parole e la storia che si ripeteva con energica insistenza nella mia mente dandomi la gioia di aver ideato, aver concepito qualcosa dalla nuda parola.
Parola e mente, poesia e filosofia: due ballerini a danzare sulla pista del tempo, con le scarpe della conoscenza ed i vestiti del coraggio.
Ho cercato di interpretare il suo titolo e spero di sentirla parlare durante i giorni dell’evento.
Artiom Noto