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Lettera aperta alla dott.ssa Silvia Paolucci

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Silvia_Paolucci_31-150x150Motivazione: L’argomento che ho scelto è stato motivato dall’interesse per l’aspetto biologico ma soprattutto dalla figura femminile in cui mi sono istintivamente identificata.

Considerato che la temperatura del “15°C divide” si è spostata verso il nord, dove prima era del “14°C divide”, le specie di conseguenza si sono spostate in un clima più adatto.

Nel 2016 sono state riconosciute 183 specie aliene che non fanno parte della fauna locale, ma sono state a volte introdotte dall’uomo.

Il tasso di introduzione aumenterà soprattutto per specie pericolose? (Come, ad esempio il caso avvenuto in Israele dove, in seguito all’innalzamento delle temperature, è stata registrata la presenza di meduse).

Un altro problema, rilevato nel 1999, è quello delle anomalie termiche, soprattutto in estate. Da quell’anno un’onda di calore si propaga e provoca negli organismi che vivono in profondità una mortalità di massa. I soggetti a rischio sono gli organismi calcarei: le loro capacità di adattamento possono essere compromesse dalla velocità del cambiamento stesso.

Le specie terrene, invece, come reagiscono a questo preoccupante innalzamento delle temperature? E’ possibile ritrovare anche flussi migratori verso nord per quanto riguarda le formiche? In caso di risposta affermativa, quali sono i pro e i contro di questi flussi?

E soprattutto, quali sono i fattori genetici che permettono agli organismi di diversificarsi per adattarsi all’ambiente?

Grazie per l’attenzione,

Ilena Ricciarelli

Cara Elena,

Innanzitutto ti ringrazio per la tua lettera. Mi fa molto piacere che ci sia interesse da parte degli studenti delle scuole secondarie per questioni legate al cambiamento climatico globale e soprattutto alle conseguenze che questo può portare sulle specie viventi.

Negli ultimi anni, il riscaldamento globale è aumentato in modo preoccupante, a causa delle varie attività produttive dell’ uomo che hanno portato ad una crescita delle temperature medie in gran parte del pianeta.

Come te hai accennato nella tua lettera, questo aumento ha fatto sì che molte specie viventi abbiano modificato il proprio areale di distribuzione, in particolare espandendolo verso nord. Questo sta causando degli squilibri a livello di ecosistema che potrebbero in futuro portare all’ estinzione di alcune specie. Lo squilibrio deriva soprattutto dal fatto che non tutte le specie viventi sono in grado di adattarsi rapidamente al cambiamento in atto (e quando parliamo di tempi evolutivi, parliamo di migliaia se non milioni di anni, e quindi tempi molto più lunghi rispetto alla velocità con cui attualmente il nostro clima sta cambiando). Ad esempio, per massimizzare il loro successo riproduttivo, le specie viventi (animali e vegetali) devono essere in grado di sincronizzare il loro ciclo vitale (fase riproduttiva, fase di crescita, fase di “letargo” o “quiescenza”) con il ciclo stagionale dell’ ambiente, in modo da far coincidere il periodo della riproduzione con il periodo dell’ anno in cui c’è maggiore disponibilità di risorse. Per ottenere una sincronizzazione ottimale, gli organismi hanno evoluto la capacità di rispondere fisiologicamente ai segnali ambientali che anticipano i cambiamenti stagionali, come ad esempio la durata delle ore di luce rispetto alle ore della notte (fotoperiodo). In ambienti temperati, l’ estate viene anticipata dal prolungamento delle ore del giorno. Gli organismi che si affidano totalmente al fotoperiodo, ovvero che sono geneticamente predisposti per rispondere ai cambiamenti fotoperiodici, avranno più difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti di temperatura che sono in atto, in quanto il fotoperiodo non viene influenzato dal cambiamento climatico globale (infatti è una conseguenza della rotazione della terra intorno al sole e dell’ inclinazione del suo asse terrestre). Ad esempio se fino a qualche anno fa, un fotoperiodo di 14 ore di luce corrispondeva ad una temperatura media di 20 gradi alla latitudine del centro Italia, attualmente lo stesso fotoperiodo corrisponderà ad una temperatura media più elevata. Gli organismi che si affidano al solo fotoperiodo per il loro ciclo vitale, non potranno fare altro che spostarsi verso nord e ritrovare la corrispondenza perduta oppure adattarsi geneticamente al nuovo ambiente (e quindi alla nuova correlazione tra fotoperiodo e temperatura), che richiede molto più tempo.

Per rispondere alla tua domanda sui fattori genetici che permettono agli organismi di diversificarsi ed adattarsi all’ ambiente, posso dirti che lo studio di tali fattori rappresenta uno degli ambiti di ricerca principali per i biologi evolutivi. È quindi difficile fornire una risposta univoca alla tua domanda, specialmente perché le specie viventi sono molto diverse e molto diverse sono le strategie evolutive per adattarsi ad un determinato ambiente.

Una distinzione può essere fatta tra (1) adattamento genetico nel senso stretto della parola, ovvero mutazioni nella sequenza del DNA che codifica per una specifica proteina, e (2) plasticità fenotipica, ovvero la capacità che un organismo ha di rispondere ad un determinato stimolo ambientale grazie all’attivazione e disattivazione di alcuni geni (e quindi senza modifiche nella sequenza del DNA del gene in questione, ma semplicemente nella regolazione della sua espressione).

In genere, in ambienti molto variabili gli organismi hanno sviluppato una più alta capacità plastica e sono dunque in grado di reagire a cambiamenti ambientali anche improvvisi. In habitat più stabili l’adattamento genetico è predominante.

Nella realtà, entrambe le strategie e le loro interazioni sono presenti nelle varie specie viventi e il compito di molti biologi evolutivi è proprio quello di capire, per determinate specie e in determinati ambienti, il ruolo relativo di entrambe le strategie nel permettere la sopravvivenza e la riproduzione. Si parla dunque di studio dei fattori genetici e ambientali che permettono l’adattamento.

Per quanto riguarda la tua domanda sulle formiche e sulla loro risposta ai cambiamenti globali, le ricerche stanno procedendo e non si ha ancora un’esatta risposta a questa domanda. Gli studi recenti hanno però messo in luce come, contrariamente a quanto si potesse pensare, nonostante la grande capacità invasiva delle formiche (dovuta principalmente alla loro vita coloniale), in realtà solo poche specie di formiche beneficeranno del riscaldamento globale ed estenderanno il proprio areale di distribuzione in zone tropicali a discapito della biodiversità locale. Sembra che la maggior parte delle specie di formiche in realtà risentirà in modo negativo dell’ innalzamento della temperatura.

Questi studi sono di caratteri predittivo, basati su modelli probabilistici.

Il problema delle specie invasive rimane comunque un problema grave dal punto di vista ecologico (e di conseguenza anche agro-economico).

Spero di aver risposto alle tue domande. Se ne hai altre sarò lieta di continuare la corrispondenza.

Buono studio e grazie ancora!

Silvia Paolucci

PS: Se ti interessa qualche referenza, ecco qui alcuni link:

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