Il fisico Isaac Newton disse “Noi siamo come nani sulle spalle dei giganti”, metafora che sottolinea il debito che la cultura moderna ha nei confronti di quella classica, base del pensiero occidentale.
Galileo Newton ed Einstein hanno potuto vedere più lontano non solo per la loro accuratezza, ma perché sono stati portati in alto dalla grandezza dei loro predecessori.
I grandi pensatori della Grecia classica, Platone e Aristotele, i pilastri della cultura occidentale, furono tra i primi a conciliare l’attività filosofica con la ricerca della verità delle cose.
Platone nella sua opera di scoperta della realtà, differenzia due tipi di conoscenza. La “doxa” (opinione) che studia i fenomeni del mondo e l’ “episteme” (scienza) che studia la realtà delle cose nella loro forma perfetta, l’idea, che non risiede nella natura, ma nell’iperuranio.
Le cose sono per Platone imitazioni mutabili e imperfette delle idee, che rappresentano un modello unico e perfetto delle cose molteplici di cui si ha esperienza sulla terra.
Aristotele “il maestro di color che sanno”, fu uno dei più importanti discepoli di Platone, il suo pensiero però si allontana molto da quello del maestro, il filosofo infatti, davanti al carattere finalista della realtà, fonda la dottrina delle cause.
La realtà non è più rappresentazione sbiadita delle idee, ma fenomeno in atto, che è in potenza qualcos’altro, un foglio è in potenza la pagina di un libro, come prima un albero in atto, era in potenza un foglio.
Aristotele attribuisce alla filosofia il compito di ricercare un principio eterno, immutabile e razionale che spieghi questo carattere finalista del mondo.
Un secolo dopo il ruolo dell’uomo nei confronti del mondo cambia drasticamente, l’uomo moderno deve liberarsi dai retaggi passati, della magia e alchimia che avevano governato il reale fino al medioevo.
La scienza moderna non è più elitaria come l’alchimia, ma accessibile a tutti, non è eterna ed inconfutabile ma perfettibile, non si chiede più il perché delle cose ma il come esse avvengano.
Ci si inizia a porre il problema del metodo, la conoscenza della realtà non può essere ricercata solo teoricamente e qualitativamente, come sostenevano i classici ma anche quantitativamente.
Uno dei primi a proporre un metodo per poter raggiungere una conoscenza certa di un fenomeno fu l’inglese Francis Bacon, il quale distingueva in un ragionamento la “Pars Destruens”, che consisteva nello sbarazzarsi dagli idoli (pregiudizi) che ci sono dati dalla società, dalle dottrine filosofiche del passato, dalla fallacia del linguaggio e dalla nostra stessa mente e la “Pars Construens”, un procedimento induttivo, che consisteva nell’osservazione del fenomeno e nel suo studio tramite la realizzazione di esperimenti da cui si estrapolano dati significativi.
Bacone immagina una società basata sull’amore per la conoscenza nell’opera “La Nuova Atlantide”, qui ritroviamo una società utopica, pacifica ed innovativa in cui uomini con diversi compiti collaborano e convivono in pace l’uno con l’altro. Bacone vuole dimostrare che una società libera dagli idoli, dai pregiudizi e completamente quotata alla conoscenza pura è più prospera, produttiva e longeva rispetto alle altre.
Il metodo baconico però, non considerava l’importante contributo della matematica come strumento di analisi quantitativa, che sarà invece il centro del metodo Galileiano.
Il metodo galileiano è considerato l’iniziatore del metodo scientifico moderno, esso divide lo studio di un fenomeno in un “momento risolutivo” in cui un fenomeno complesso viene scisso nei fenomeni più semplici che lo compongono per poi formulare un’ipotesi matematica e il momento compositivo, in cui viene riprodotto artificialmente il fenomeno e si formula una legge.
Con la crisi dei fondamenti del 1900, la concezione del rapporto tra le due discipline cambia, il filosofo tedesco Karl Popper nell’opera “Scienza e filosofia” mette in tavola un pensiero epistemologico sugli scopi e le responsabilità della scienza ed espone la tesi secondo cui tutte le teorie scientifiche sono falsificabili.
“Tutta la conoscenza rimane fallibile, congetturale. Non esiste nessuna giustificazione, compresa, beninteso, nessuna giustificazione definitiva di una confutazione. Tuttavia, noi impariamo attraverso confutazioni, cioè attraverso l’eliminazione di errori […]. La scienza è fallibile perché la scienza è umana”.
Oggi più che mai la dialettica tra questi due ambiti è fondamentale, la scienza formula teorie, senza scopi, senza fini ultimi, la filosofia ha il compito di riflettere e di spiegare il significato di queste teorie, ipotizzando e riflettendo su come esse possano riversarsi sulla realtà.