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Un’altra forma di guadagno: la gratificazione

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In Italia si contano circa tre milioni di disoccupati, la maggior parte giovani. Molti di questi lasciano presto lo studio, non frequentano l’università e si ritrovano senza alcunché tra le mani. Ai giorni nostri sono tanti i ragazzi che per motivi economici pesano sulle loro famiglie ed anche su loro stessi. Credo in effetti che lasciando da parte il discorso inerente la retribuzione, sia di particolare importanza occupare le nostre vite, sia per una personale realizzazione, sia per rendersi utili alla società.

È vero che, nel campo lavorativo, oggi,  gran parte della realizzazione deriva dal guadagno, ma è ancor più vero che ogni individuo necessita di riempire la propria vita, di fare qualcosa che seppur non lo gratifichi economicamente, lo gratifichi a livello psicologico ed emotivo. Infatti la condizione di disoccupato comporta spesso un danneggiamento dello stato di salute psicofisica.

Sono in aumento i casi di  depressione nei giovani, con conseguente abbassamento di  autostima e la sensazione di impotenza aggravata dall’impressione di essere un “perdente”.

Dimenticando di favorire le proprie  passioni, spinti dall’insicurezza che grava nella collettività a favore del desiderio di un posto di lavoro sicuro, che sicuro non si rivela mai, si abbandonano  le aspirazioni di realizzazione personale e si perde ancora più fiducia in se stessi e nella società che è bombardata di informazioni inesatte come l’illusione di un posto fisso in seguito ad un concorso.

Anche la scuola , dovrebbe forse,  privilegiare una materia nuova: l’apprendistato  alla vita vera, fatta di poche parole e assenza di pregiudizio, dove non ci sia classificazione dei lavori di serie A e quelli di serie B.

Perché anche questo, a parer mio ha contribuito alla crisi occupazionale e automaticamente alla depressione sociale di molti giovani aspiranti al lavoro.

Una volta si tramandavano i lavori artigianali, costituiva motivo di orgoglio poter insegnare al proprio figlio un mestiere.

Oggi, gran parte dei ragazzi aspirano a lavori prestigiosi, con mire economiche più  che personali.

Non dico che non sia sano avere obiettivi anche di natura retributiva, ma ritengo, che anche questo abbia contribuito al nostro impoverimento, oltre che economico, anche emotivo.

Dunque,  meglio lavorare senza alcuna retribuzione,  piuttosto che non lavorare affatto, traendo come unico guadagno, la formazione e soprattutto una buona dose di gratificazioni a livello personale a tutela della nostra salute emotiva e psicofisica, a dimostrazione che le aspirazioni più profonde, che le reali attitudini e passioni, se messe a frutto della società, potrebbero anche contribuire al decremento della crisi.

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