L’esperienza che facciamo in ogni momento è appresa in base a complessi dispositivi psicologici. L’apprendimento sarebbe inutile se non avessimo la capacità di conservare nella mente ciò che abbiamo appreso per poter utilizzare le competenze e le conoscenze acquisite in un successivo momento in funzione delle esigenze individuali e ambientali. La conoscenza viene immagazzinata nel nostro cervello per poter poi essere recuperata in un tempo successivo. La memoria, quindi, è la capacità di conservare nel tempo le informazioni apprese e di recuperarle quando servono nel modo pertinente; quest’ultima non è la fotocopia della realtà, non è la fotografia della “storia” poiché è una elaborazione, ricostruzione e conservazione attiva delle informazioni. Essa implica in ogni caso un certo grado di distorsione rispetto a una ripresa oggettiva dei fatti e degli oggetti; la disciplina che indaga le modalità con cui la mente conserva, modifica e rievoca le tracce delle esperienze percettive del passato è la psicoanalisi; disciplina che si concentra soprattutto sui meccanismi psichici che si oppongono al ricordo. Il caposaldo della psicoanalisi, soprattutto nelle sue origini freudiane, è la rimozione: un contenuto ideativo inquietante, infatti, viene scacciato dalla coscienza ma non scompare dalla psiche ed esercita la sua azione al di fuori del nostro controllo dando vita a legami “impropri” che sono alla base delle manifestazioni nevrotiche. Ad esempio l’angoscia genera le fobie legandosi ad altre situazioni che non hanno nulla a che vedere con la causa inconscia. La memoria, inoltre, pur essendo molto estesa non è infinita; è limitata sia in termini quantitativi (ossia il numero di informazioni che possiamo immagazzinare) sia in termini di durata (molti apprendimenti decadono dopo un certo periodo di tempo). La memoria, quindi, è strettamente connessa con l’oblio. Anche se per la psicologia del senso comune, l’oblio è considerato come uno svantaggio, in realtà il fatto di dimenticare costituisce un grande vantaggio e una fortuna, in quanto elimina dalla mente molte informazioni superflue e irrilevanti e, in tal modo lascia spazio per nuovi apprendimenti. Chi non riesce a dimenticare nulla, non solo diventa “disadattato” nei nuovi ambienti ma non è più in grado di discriminare ciò che è importante da ciò che è insignificante. Comunque il termine “memoria” è molto vago e generico poiché raccoglie sotto di sé un insieme eterogeneo di processi e di effetti. Più che di memoria al singolare occorre parlare al plurale di “memoria” o di tipi di memorie, basti pensare alla diversità tra il ricordo di un numero di telefono e quello di un episodio dell’infanzia. La memoria ha, quindi, una natura multisistemica, poiché è una costellazione di sistemi e di processi anche assai diversi tra loro che sono comunque centrali nella cognizione umana. La memoria, infatti, consente il recupero di una certa informazione in un tempo preciso e con un riferimento dettaglio a se stessi. Ogni nuova esperienza comporta dei cambiamenti nei circuiti nervosi,rafforzandone alcuni e indebolendone altri, così da creare nuovi circuiti nervosi. Anche ricordare qualcosa è un processo attivo che modifica il ricordo stesso. In questo senso la memoria va considerata come un processo attivo e dinamico, dipendente dalla storia di ciascun individuo.
Giorgia Alunno