Home Ambasciatori della Festa di Scienza e Filosofia “BRAIN DRAIN”: DALL’ITALIA ALL’ESTERO

“BRAIN DRAIN”: DALL’ITALIA ALL’ESTERO

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Leggendo il documento “Crisi ambientale e migrazioni forzate”, a cura di Salvatore Altiero e Maria Marano, si incontra nell’introduzione il seguente incipit: “il riposo, dopo una vita lavorativa relativamente breve, degli appartenenti alla passata generazione vale più della lunga vita di lavoro che gran parte della presente generazione ha di fronte. Si potrebbe riassumere così il dato economico della della crisi: la prima generazione condannata a guadagnare meno dei propri genitori”.
Non si può fare a meno di pensare che anche molti giovani ragazzi italiani si sentano costretti a partire a causa del loro “ambiente”.
Gli italiani sono da sempre un popolo di emigranti, ma negli ultimi anni i dati OCSE dimostrano che il fenomeno dell’emigrazione, soprattutto da parte dei giovani, è in notevole aumento.
Infatti solo nel 2018 le persone che hanno lasciato il Paese sono circa 285 mila.
I motivi che oggi spingono moltissimi giovani a lasciare l’Italia sono soprattutto di tipo lavorativo, anche negli anni ’50 gli italiani migrarono all’estero per cercare fortuna in seguito alla guerra, ma dove sta la differenza?.
Oggi molti di loro sono laureati e l’Italia quindi si trova ad affrontare la perdita di persone altamente qualificate (dal 18,2% al 30,9% nel giro di 9 anni). Questo fenomeno che si definisce come “brain drain” o “fuga di cervelli”, in Italia è visto come un problema poiché il nostro Paese non riesce ad importare “cervelli” dalle altre parti del mondo, infatti l’ OCSE segnala l’Italia come l’unico dei Paesi Europei maggiormente sviluppati ad avere più laureti che partono rispetto a quelli che arrivano.
Quindi si può dedurre che anche le immigrazioni, soprattutto nel 2017, hanno registrato un notevole calo nel nostro Paese (circa il 34% in meno rispetto al 2016).
Invece negli altri Paesi Europei come Francia, Gran Bretagna, Germania, la “fuga di cervelli” non è visto un problema, ma, al contrario, viene considerato un processo di globalizzazione, pur avendo un numero di emigrazioni maggiore di quello italiano perché bilanciato da quello delle immigrazioni.
Quello che porta i giovani laureati italiani a cercare opportunità in altri Paesi rispetto l’Italia, sono soprattutto cause di tipo strutturale come lo stipendio piuttosto basso, la precarietà, la mancanza di meritocrazia e quella di strutture di supporto adeguate.
Infatti, anche se ogni emigrato istruito rappresenta una perdita, poiché è un investimento che se ne va, le circostanze italiane non gli permetto di rimanere perché il suo studio non non ne fa necessariamente il candidato per i lavori più qualificati e quindi si ritroverebbe a fare lavori poco qualificati come il cameriere o il pizzaiolo.
Quest’ultimi sono lavori che i giovani, raramente, considerano tra le varie professioni del loro futuro eppure, anche questi, portano i giovani all’estero perché l’Italia non gli da il giusto merito tanto da considerarli lavori “invisibili”, ma se considerati invisibili in Italia, lo sono maggiormente all’estero.

Giorgia Volpi

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