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UNIVERSI SIVE DEUS

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Nell’ “Etica”, il filosofo settecentesco Baruch Spinoza utilizzò, a sostegno della sua visione panteistica dell’universo, l’espressione: “Deus sive natura” ( “Dio, ossia la natura” ). Certo non fu lui il primo a credere che il creatore dell’universo non si identificasse con il Dio trascendente delle principali confessioni monoteiste, ma si fece l’ennesimo promotore intellettuale di una teoria incredibilmente valida, anche ( e soprattutto) ai giorni nostri. Il legame con Dio si manifesta tramite il rapporto con la natura, la quale non è più rappresentata unicamente dalla flora e dalla fauna del nostro pianeta, ma dall’intero universo. Il volto di Dio si riflette in uno specchio che appare frammentato all’uomo. Per ricostruirlo è necessario assemblare ciò che emerge dallo studio dei buchi neri, insieme alle teorie, ancora confuse e imprevedibili, della meccanica quantistica: bisogna fondere insieme l’entanglement di Schrödinger e ciò che accade nel momento della morte di una stella. In epoca contemporanea, la scienza non è più definita da quello sterile insieme di formule matematiche, che cercano di razionalizzare al massimo il pensiero umano, privandolo della sua componente emotiva ( questa visione errata della scienza appartiene al ‘700 ); la fisica, la matematica e la cosmologia sono discipline che si coniugano perfettamente con l’interiorità umana. La scienza risulta essere una ricerca guidata tanto dalla ragione quanto dalla curiosità, dalla passione e dall’emozione dell’uomo, il quale è, per natura, portato a inseguire i segreti dell’universo, affinché egli possa accorciare le distanze tra la sua esistenza e il senso della stessa. L’obiettivo dello scienziato è, dunque, quello di anelare al raggiungimento della verità più che alla gloria: Galilei scriverà che anche lo stesso Aristotele, se fosse vissuto ai tempi dello scienziato pisano, avrebbe abbandonato volentieri le sue teorie fisiche per abbracciare le, più logiche, galileiane. L’universo è sempre stato osservato dall’essere umano, il quale ha, da sempre, intuito che il cielo poteva raccontare qualcosa: i primi naviganti, di diversi millenni avanti Cristo, avevano capito che ci si poteva orientare in mare guardando le meravigliose stelle notturne o il Sole. Col passare del tempo le domande poste all’universo sono state sempre più complicate: che cos’è il tempo? Quando è nata la vita? Per quanto si estende lo spazio?… Molte risposte sono pervenute grazie agli sforzi delle menti più geniali dell’umanità: Albert Einstein capì che la dimensione del tempo non può essere scissa da quella dello spazio; lo scorrere del tempo avviene, dunque, in maniera diversa a seconda delle condizioni ( la presenza di una grande massa, curva il tessuto spazio temporale e “rallenta” il tempo). La teoria dello stato Hartle-Hawking punta a spiegare da cosa è nato l’intero universo, e da cosa era costituito ancora prima del Big Bang. Tuttavia, per amore della scienza, nessuna di queste teorie, neanche la più logica, può essere considerata verificata e bisogna accettare che, proprio come le false teorie aristoteliche rimasero vere per duemila anni, anche le teorie cosmologiche di epoca contemporanea potrebbero non essere assolute. Nonostante, da parte dell’universo, non sia ancora stata data una risposta chiara a tutte le domande dell’uomo e magari, una risposta chiara, non sarà nemmeno mai accessibile all’uomo, quella risposta si trova là, tra le galessie o nell’orizzonte degli eventi di un buco nero. Nel vuoto assoluto.

Autore: Matteo Bartolomei IV A – Liceo R. Casimiri, Gualdo Tadino (PG)

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