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IL TEMPO NON FA RUMORE

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“Se l’universo è eterno, questo è un problema senza senso, visto che
esso esiste da sempre e continuerà ad esistere per l’eternità. Ma se
l’universo ha avuto un inizio, principio che la scienza fa coincidere col
“big bang”, il tempo scorrerà sempre nella stessa direzione o invertirà il suo corso?”
Questa è la domanda che si fece il grandissimo Stephen Hawking e a
cui cercò di rispondere con un principio: il secondo principio della
termodinamica, il quale afferma quanto le cose si consumino nel
tempo. Anche in caso di contrazione dell’universo, il tempo continuerà a scorrere nella medesima direzione; l’entropia dà una direzione agli eventi che va dal passato al futuro e non sarà concesso neppure al tempo di invalidare questa costante di natura.


Un’altra importante riflessione di Stephen Hawking, sempre in
riferimento al tempo, riguarda il limite imposto al Big Bang.
Per aggirare questo problema egli prova ad utilizzare il “Tempo
immaginario”, una grandezza che viene misurata attraverso dei numeri immaginari.
La sua opzione permette di concettualizzare un universo non più di
forma conica col vertice a punta rappresentante il big bang, bensì un
cono con il vertice arrotondato che non coincide più con alcun inizio.
Grazie a questo tempo immaginario il Big Bang è un punto di un
universo curvo.
Lo spazio e il tempo possono essere considerati finiti ma illimitati.
L’analogia con la superficie della terra è illuminante in quanto, avendo a che fare con il tempo immaginario, ovvero uno spazio-tempo euclideo in cui la direzione del tempo è posta sullo stesso piano di quella dello spazio, si può ipotizzare che lo spazio-tempo sia finito e che non abbia alcuna singolarità che ne determini un confine o un bordo.


Ma, come si è interrogato Galileo Galilei nella misurazione di esso? Lo scienziato decide di utilizzare il battito del polso; essendo il battito regolare, garantisce una misurazione del tempo all’incirca costante, sufficiente per i suoi esperimenti.
Anche Simplicio fa lo stesso riferimento al battito del polso come
misura del tempo: “Di grazia, sia conceduto alla mia poca pratica nelle scienze matematiche dir liberamente come i vostri discorsi, fondati sopra proporzioni maggiori o minori e sopra altri termini da me non intesi quanto bisognerebbe, non mi hanno rimosso il dubbio, o, per meglio dire, l’incredulità, dell’esser necessario che quella gravissima palla di piombo di 100 libre di peso, lasciata cadere da alto, partendosi dalla quiete passi per ogni altissimo grado di tardità, mentre si vede in quattro battute di polso aver passato più di 100 braccia di spazio:
effetto che mi rende totalmente incredibile, quella in alcuno momento essersi trovata in stato tale di tardità, che continuandosi di muover con quella, non avesse né anco in mille anni passato lo spazio di mezzo dito.

E pure se questo è, vorrei esserne fatto capace.”
Perché Galileo ha scelto di misurare il tempo con questo metodo? Esso permetteva di misurare il tempo con maggiore precisione rispetto agli orologi di quell’epoca, essendo il battito cardiaco più frequente del secondo stesso.
Dopodiché era un metodo più comodo in quanto utilizzava il senso del tatto, facendo rimanere libero quello della vista.
Alcuni autori però, vedono il tempo in un modo diverso, come un
qualcosa legato all’emotività delle persone.
In riferimento a ciò, troviamo alcune pagine dell’opera “Cent’anni di
solitudine” di Gabriel Garcia Marquez, il quale afferma che il tempo è
percezione, è un sentimento.
Percezione della propria fragilità.
E percezione, talvolta, della propria solitudine come di un tempo
lunghissimo e che finisce col non combaciare con il tempo vissuto. “Il
tempo passa, senza far rumore”.

Duca Dalia
Liceo Sesto Properzio, Assisi
classe: 3A Scienze Umane
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