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DISUGUAGLIANZA MONDIALE E SOCIALE

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“La ricchezza è come l’acqua di mare: quanto più se ne beve, tanto più si ha sete” (Schopenhauer).

Povertà e ricchezza sono come le due braccia di una bilancia, quanto più si solleva una parte tanto più si abbassa l’altra. Nel 21° secolo sembra molto difficile far ritornare le due braccia ad un giusto equilibrio. A livello mondiale le disuguaglianze sono notevoli sia tra Stati ricchi e poveri che tra popolazioni interne allo stesso Stato. Ma la situazione è più complicata perché le scelte economiche che un governo può fare sono dettate da poteri sovranazionali o da aziende transnazionali, comunemente dette, multinazionali.   Per questo possiamo citare il caso del Congo che dimostra appieno questa forma di disuguaglianza. E’ un Paese condannato dalla sua stessa ricchezza. Cobalto, rame, uranio, oro, diamanti, ma negli ultimi tempi soprattutto coltan (elemento che sta alla base per la produzione di computer, smartphone e le altre tecnologie) sono risorse preziosissime protagoniste di un duplice saccheggio: il primo “legale”, ad opera delle multinazionali, il secondo ad opera di migliaia di minatori e contrabbandieri.

Una ricchezza vasta i cui beneficiari sono sempre gli occidentali, e il Congo rimane uno dei paesi più poveri e sottosviluppati del mondo. Una situazione molto difficile, in cui i responsabili continuano a pensare alla propria ricchezza pur sapendo di lasciare il Congo senza scuole, ospedali, acqua potabile e luce elettrica.

Tuttavia è molto difficile trovare una soluzione a questo squilibrio. Non è necessario credere che basti chiudere le attività delle multinazionali, ma piuttosto è molto più efficace porre un limite agli obiettivi da raggiungere e trovare una giusta misura per continuare a svolgere questo lavoro. In primis è indispensabile ritrovare dentro sé stessi il sentimento di solidarietà e filantropia che freni lo sfruttamento dei congolesi, in seguito si può continuare a prelevare elementi come il coltan indispensabili per la ricerca scientifica e lo sviluppo del mondo.

Anche nazioni sviluppate, però, presentato al loro interno forti squilibri sociali, ad esempio la nostra Italia che presenta forti disuguaglianze di ricchezza al suo interno nonostante uno Stato presente e funzionante. Infatti lo Stato, per il sistema delle tasse, segue tre obiettivi fondamentali:

  • Redistribuire il reddito primario in modo da conseguire una maggiore equità;
  • Proteggere le persone dal rischio di povertà e di esclusione sociale;
  • Finanziare la produzione di beni e servizi pubblici.

Il reddito primario è caratterizzato da un elevato grado di disuguaglianza, che dipende dalle differenti dotazioni individuali e familiari di risorse (lavoro, capitale reale e finanziario), dai diversi rendimenti di queste ultime (salari) e infine dalle diseguali opportunità di occupazione e di impiego di capitali. Queste azioni però non sono state sufficienti. Questo, forse, perché lo Stato ha un’azione limitata sull’economia. Per prima cosa dipende dal sistema “euro” e dalla Banca centrale. Questa complessa situazione decisionale si muove in un orizzonte neoliberista, una scuola di pensiero che si ricollega al precedente liberismo di Adam Smith e di Locke, definito da tre idee di base:

  • Riduzione degli interventi di Stato nell’economia, ovvero di ritornare ad un’economia in cui l’iniziativa sia solo dei privati. Perciò si afferma il bisogno di trasformare le imprese pubbliche in imprese private, estendendo questo processo a tutti i settori (compreso quello dell’istruzione, della previdenza e della sanità);
  • Una maggiore mobilità del lavoro, cioè rendere più facili le assunzioni a tempo determinato e i licenziamenti;
  • Una flessibilità dei salari interni, al fine di rendere possibile una grossa concorrenza tra le aziende a livello internazionale.

Tuttavia l’applicazione delle teorie neoliberiste in alcuni Stati europei, come l’Italia, ha portato ad una crescita dell’indebitamento pubblico e a gravi squilibri tra le classi sociali, come avveniva al tempo di attuazione del sistema liberista. Al giorno d’oggi molte critiche sono rivolte alla disoccupazione giovanile. I dati sono chiari: il tasso di occupazione dei giovani in Italia di età compresa tra i 15 e 24 anni è del 17,7%, mentre quello degli adulti di età compresa tra i 50 e 64 anni è del 60,1%. Questo riduce le possibilità da parte del mondo dei giovani di far funzionare il sistema economico ma anche di prospettare un fosco futuro per i conti previdenziali, ovvero: chi pagherà le future pensioni? Si tratta di un sistema di causa-effetto, ogni scelta è seguita da una sua conseguenza, e la decisione di aumentare l’età pensionabile, insieme alla riduzione dei salari, può portare riduzioni della spesa pubblica e breve aumento della produzione ma apre anche ad una diminuzione dei consumi che può generare una crisi di sovrapproduzione, a danno della “domanda aggregata”.

Una situazione complessa, che richiede una soluzione altrettanto complessa e difficile da trovare.

Letizia Santinelli

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